Gli Wyatt Earp nascono nel 2013 a Verona, da una comune passione per il rock anni ’70. Dopo un primo periodo dedicato alle cover, il gruppo comincia a lavorare a del materiale inedito. Materiale che poi confluisce nel loro primo omonimo LP del 2018. A quest’ultimo seguono poi diversi live e un nuovo singolo, “The Pioneer”, uscito nel settembre 2022.
Attualmente la band vede suonare assieme Leonardo Baltieri (voce), Filippo Romeo (chitarra), Fabio Pasquali (basso), Flavio Martini (tastiere/sintetizzatori) e Silvio Bissa (batteria). La Cronaca ha conosciuto meglio questo progetto attraversi le parole di Fabio.
Avete il nome di un personaggio storico, lo sceriffo Wyatt Earp. Come mai lo avete scelto?
“Rifacendoci sempre all’hard rock anni ‘70. Svariati gruppi facevano riferimento a nomi storici, come i Jethro Tull o gli Uriah Heep, o a eventi, come i Led Zeppelin. Quindi abbiamo detto ‘prendiamo un personaggio che ha fatto veramente uno sparatoria nel selvaggio West’. Lo abbiamo preso giusto per identificarsi, per dare anche un piccolo tocco western a livello di immagine al gruppo, anche se chiaramente non quella musica”.
In che modo l’immaginario western vi ha influenzato?
“Non è un’influenza con una base solida. Ad esempio, partendo dal nome abbiamo detto ‘potremmo scrivere una canzone con uno storyboard un po’ western’. Infatti, il brano ‘Ashes’ ha tale immaginario. Noi ci prestiamo divertendoci a questo background. Poi, l’inclinazione western dà una spinta al genere che facciamo. Tipo durante i live noi ci vestiamo con dei capi abbastanza ‘settantettini’, con temi floreali, pantaloni a zampa lunga, cappelli western”.
Quali sono le vostre influenze?
“Di base prendiamo ispirazione da band come Deep Purple, Rainbow o Rush. Comunque, quando i nostri conoscenti ci ascoltano per la prima volta hanno opinioni molto varie. Molti dicono che ci influenzano i Pink Floyd per il fatto che utilizziamo sintetizzatori, organi e tastiere. Un altro mio amico ha detto che alcuni nostri passaggi assomigliano a quelli degli Iron Maiden, anche per l’energia nei live, o addirittura ai Black Sabbath. Comunque, la cosa che fa piacere è che tutte queste opinioni vanno a incanalarsi sempre sugli anni ‘70, quello a cui facciamo riferimento”.
Qual è il vostro processo creativo?
“Partiamo da un’idea di base, che viene al momento o è magari pensata da uno di noi. Può essere un riff, un giro armonico di un qualsiasi strumento. Da lì si comincia a lavorare. Quindi, c’è un gigantesco processo di brainstorming. Non ci poniamo nessun tipo di limite”.
Quale delle vostre canzoni vi rappresenta di più?
“La canzone che più rappresenta l’attuale formazione è ‘Lord of Nights’, un brano del prossimo disco. Ci rappresenta molto come sonorità”.
Com’è stato il passaggio da cover a musica propria e com’è nata l’idea di farlo?
“In realtà l’idea iniziale era di fare cover come palestra per ingranare tra di noi. Dopodiché subito a comporre. Quindi nel giro di circa cinque mesi abbiamo avuto le nostre proprie canzoni. Il passaggio non è stato brusco ma piuttosto immediato”.
Ci sono nuovi pezzi in arrivo?
“Sono già pronti da diverso tempo. Stiamo ultimando quello che c’è intorno alla progettazione del prodotto, del cd. Nei nuovi brani parleremo delle cose più disparate, non abbiamo una tematica specifica. Però, rifacendoci tanto alla musica anni ‘70, abbiamo preso anche ispirazione dalle tematiche che vengono trattate in quel genere. Per esempio, dalla psichedelia abbiamo una canzone sul mito della nascita di Zeus”.
Giorgia Silvestri