Poi ci sono storie come questa, che ti fanno pensare. Ti raccontano di sentimenti che durano nel tempo, di un calcio che non sempre è quello dei Donnarumma e dei Conte. C’è Dragan Stojkovic, di passaggio a Verona. Una toccata e fuga, un po’ come quella che fece trent’anni fa, non per colpa sua. Arriva a Verona e chiede, ovviamente, di Stefano Mazzi. Si incontrano. E’ come se il tempo si fosse fermato, anzi, se l’orologio tornasse indietro “…e vorrei tanto ci fosse stato papà” sospira Stefano Mazzi.
Di papà Eros, gli chiede subito Dragan. Papà Eros stravedeva per lui, se n’era innamorato ai Mondiali del ‘90 e l’aveva preso per il suo Verona. “Portami a salutarlo, voglio vedere dove riposa” dice Dragan. Cimitero di Lugagnano, il paese della famiglia Mazzi. Dragan si ferma sulla tomba, prega. E’ commosso. Perchè Eros gli ricorda una stagione bella della sua vita, anni che non tornano più. “Ma mi ricorda l’affetto, mi ha sempre trattato come fossi un figlio, anche se io non stavo bene, quell’anno”. Un figlio non dimentica mai. “Per questo sono tornato”. “Il nostro calcio era questo”, dice Stefano. Era poesia. E un bel po’ di nostalgia…