Nelle scorse ore per Libero ho intervistato Alessandro Riello, presidente di Aermec, azienda leader nella climatizzazione e sanificazione, figlio di Giordano, fondatore dell’impero nato nella Bassa Veronese e che oggi conta 1.700 dipendenti e fattura 300 milioni all’anno. Sono soprattutto famiglie come queste ad aver fatto grande Verona e il Veneto. Il presidente di Aermec, azienda che ha sede a Bevilacqua, in questo momento ha una priorità assoluta: mettere in sicurezza i propri dipendenti e mettersi a servizio della comunità. Nei suoi stabilimenti vuole vaccinare tutti, ha assunto tre medici e tre infermieri, ma ancora non può farlo. Perché? Alessandro Riello riavvolge il nastro. «Quando è uscita la notizia che le aziende potevano diventare luoghi di vaccinazione abbiamo contattato l’Ulss Scaligera e allestito un centro vaccinale secondo le prescrizioni. Siamo stati accreditati dallo Spisal (servizio per la prevenzione e l’igiene nei luoghi di lavoro, ndr)». Poi cos’è successo?
«Dovevamo solo infilare la chiave nella serratura e spingere la porta, c’era già una data, il 15 aprile, ma la mancanza di vaccini e il caos Astrazeneca hanno portato le istituzioni a rinviare. Il governo dice a metà maggio, la regione il 16 giugno. Guardi: non so se sono più arrabbiato, deluso o demoralizzato. Si parla di tutto e di più, ma la realtà è che non c’è chiarezza».
Riello spiega che il gruppo sarebbe in grado di somministrare fino a 250 dosi al giorno, quindi in una settimana potrebbe vaccinare tutti i dipendenti e i collaboratori, per poi dare una mano al servizio sanitario nazionale nell’immunizzazione di parte della popolazione. Dice che i suoi collaboratori in Ungheria sono già stati vaccinati, «mentre in Italia siamo ancora nell’incertezza, non ci sentiamo considerati, il manifatturiero viene trattato come un settore di “serie b”». Il tono rimane sempre pacato, non una parola fuori posto e d’altronde non ce n’è bisogno, perché il messaggio è già sufficientemente chiaro. «Guardi: non so se sono più arrabbiato, deluso o demoralizzato. Si parla di tutto e di più, ma la realtà è che non c’è chiarezza». Finora cos’avete fatto per salvaguardare la salute dei vostri lavoratori? «Abbiamo anticipato tutti i dpcm, distribuito più di 640 mila mascherine – cambiandole ogni giorno – assunto uno staff medico ed effettuato oltre 7 mila tamponi. Nell’ultimo periodo abbiamo comprato anche quelli suscettibili alle varianti. Di fatto abbiamo affiancato la sanità pubblica». In questo momento l’attenzione è focalizzata sulla ristorazione e il turismo.
«Categorie per le quali ho grandissimo rispetto, però la spina dorsale manifatturiera sta passando in secondo piano. Si vaccinano le cooperative di giardinieri, che ben venga ma lavorano all’aperto. Non si pensa alla gente chiusa in fabbrica e che contribuisce maggiormente al pil. Alcuni miei commerciali sono appena partiti per la Turchia, non sono tutelati».
Quante infezioni avete avuto in azienda?
«In tutto il gruppo meno di 100, grazie ai nostri investimenti».
Un anno fa si ipotizzava l’uso di macchinari di sanificazione dell’aria, soprattutto nelle scuole, poi non se n’è più parlato. Avete ricevuto proposte dal governo?
«No, perché non si tratta di mettere un apparecchio sul tavolo, ma di intervenire sugli impianti, che in quasi tutti gli istituti sono vecchi. Stiamo puntando molto sui privati: abbiamo una lampada che grazie al fotovoltaico riesce a eliminare fino all’84% di ogni virus sulle superfici. Il dato è certificato dall’Università di Padova. Pensi ai benefici per gli ospedali e le case di cura».
Alessandro Gonzato