Sarà anche un bel Tour, avvincente e aperto; tuttavia, per i pedali veronesi sta assumendo sempre più i toni di un «iat-Tour» de France, una iattura.
Il traguardo della decima tappa, a Saint-Martin-de-Ré, ha infatti mostrato i due volti, Elia Viviani e Davide Formolo, di un’unica medaglia, quella dell’amarezza.
Viviani ci ha provato con tutte le forze di cui dispone in questo momento a regalarci un sorriso; ha preso la ruota del fido Simone Consonni e si è presentato agli ultimi duecento metri per giocarsi la volata con i signori dello sprint; pur senza trovare la zampata vincente, è almeno uscito dall’eclissi: ha chiuso quarto a due biciclette da Sam Bennet e Caleb Ewan, a una da Peter Sagan.
Segno che manca ancora qualcosina, non poco per avere il lampo dei migliori, ma almeno è lì a due pedalate.
Al traguardo, con tutta l’onesta che lo contraddistingue Elia non ha nascosto la sua delusione: «Non sono certo contento del risultato – ha commentato – Non posso accontentarmi di un quarto posto, sono qui per lottare per la vittoria. Ovviamente è bello tornare a lottare con i migliori velocisti del mondo, ma non è stata una giornata facile ma Simone (Consonni, ndr) ha fatto un lavoro importante per proteggermi fino alla fine. Devi vivere una tappa perfetta per vincerla e il più forte è stato Sam Bennett. Ringrazio anche i miei compagni che mi hanno aiutato a trovare la giusta posizione per la volata. Il mio obiettivo è di arrivare a Parigi con una vittoria di tappa, mi impegnerò per raggiungere questo obiettivo».
Non sarà facile, anzi: purtroppo per lui con l’arrivo delle grandi montagne che caratterizzeranno tutta l’ultima parte di questo duro Tour, le occasioni per fare centro si riducono al lumicino. Parigi però val bene una messa, quindi il sogno di cogliere un successo di grande prestigio all’ultima passerella sui Campi Elisi, è ancora vivo. Dovesse riuscirci, il bilancio negativo sin qua, si ribalterebbe totalmente. Quindi conviene tenere botta, arrivare alla Ville Lumière e giocarsela.
Peggio, molto peggio è andata a Davide Formolo, ultimo e dolorante al traguardo di Saint-Martin-de-Ré. A metterlo ko, una caduta che ha coinvolto anche il suo capitano Tadej Pogacar. «Roccia» ha stretto i denti ed è arrivato in fondo, ma in serata le radiografie hanno confermato quanto si temeva: «Frattura della clavicola minimamente scomposta» ha comunicato il medico della Uae Jeroen Swar. Tradotto: Tour finito, intervento chirurgico, rientro e convalescenza a casa per uno stop di 5-6 settimane. Che iella: fuori dalla classifica e al servizio del suo capitano, ma con la gamba che si ritrovava, «Formolino» avrebbe avuto la sua chance in montagna in una giornata di libertà che la squadra gli avrebbe concesso. Perché quelli erano i patti alla vigilia della partenza da Nizza. Niente da fare. E siccome al peggio non c’è fine, non potrà nemmeno indossare la maglia azzurra al mondiale di Imola che sembra fatto apposta per uno come lui. Impossibile vederlo al via anche di una grande classica come la Liegi-Bastogne-Liegi, la sua preferita, dove lo scorso anno fu secondo alle spalle di Fuglsang. Lo ritroveremo alla Vuelta, abbandonata un anno fa in seguito a un altro ruzzolone. Se ti chiamano «Roccia» significa che sei uno disposto a soffrire, ma non a mollare. Il ciclismo è soprattutto questo, e il ragazzo lo sa. Torna presto, «Formolino».
Elle Effe