La scienza e la ricerca non si fermano. Anzi. Gli studi sul Covid procedono a marce forzate. Questa l’ultima scoperta: il trattamento con la vitamina D diminuisce decessi e trasferimenti in terapia intensiva. E’ il risultato del primo studio italiano sugli effetti della vitamina D, pubblicato sulla rivista scientifica “Nutrients” e coordinato dall’Università di Padova, guidato dal professor Sandro Giannini, con la collaborazione delle Università di Verona e Parma e gli istituti di ricerca Cnr di Reggio Calabria e Pisa. “La nostra è stata una ricerca retrospettiva condotta su 91 pazienti affetti dal virus, ospedalizzati durante la prima ondata pandemica nella area Area Covid della Clinica medica 3 dell’Azienda ospedale-Università di Padova – spiega Giannini, primo firmatario dello studio. “I pazienti inclusi nella nostra indagine, di età media 74 anni, erano stati trattati con le associazioni terapeutiche allora adoperate in questo contesto e, in 36 soggetti su 91 (39.6%), con una dose elevata di vitamina D per 2 giorni consecutivi. I rimanenti 55 soggetti (60.4%) non erano stati trattati con vitamina D. La scelta del medico di trattare i pazienti”, evidenzia il professore, “era stata essenzialmente basata su alcune caratteristiche cliniche e di laboratorio: avere bassi livelli nel sangue di vitamina D al momento del ricovero; essere fumatori attivi; dimostrare elevati livelli di D-Dimero ematico (indicatore di maggiore aggressività della malattia); presentare un grado di comorbidità”. Lo studio aveva l’obiettivo di valutare se la proporzione di pazienti che andavano incontro al trasferimento in unità di terapia intensiva e/o al decesso potesse essere condizionata dall’assunzione di vitamina D. “Durante un periodo di follow-up di 14 giorni circa – prosegue Giannini – 27 (29.7%) pazienti sono stati trasferiti in terapia intensiva e 22 (24.2%) sono deceduti. L’analisi statistica”, è andato avanti Giannini, “ha rivelato che il peso delle comorbidità (rappresentate dalla storia di malattie cardiovascolari, broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza renale cronica, malattia neoplastica non in remissione, diabete mellito, malattie ematologiche e malattie endocrine) ha modificato in modo ampiamente significativo l’effetto protettivo della vitamina D sull’obiettivo dello studio, in modo tale che maggiore era il numero delle comorbidità presenti, più evidente era il beneficio indotto dalla vitamina D”.