Sergio Pellissier è l’articolo 31 di una Costituzione che non esiste, una sorta di diritto alla realizzazione personale: perché il calcio non è solo una faccenda da predestinati. Ha giocato in Serie A le stesse partite di De Rossi e segnato più di Prati, ma in molti non lo sanno. Non era un divo, era uno che divorava. È stato una bandiera, probabilmente l’ultima. Del Chievo ma anche di un modo autentico di essere calciatore lontano dai divismi antipatici che affliggono lo sport. Super sì, superstar no. Un manifesto di normalità fuori dal comune ma molto dentro la provincia. Dai primi passaggi alle ultime panchine – perché anche i calciatori soffrono – dall’esordio contro Baggio, il suo idolo, al gol speciale con la maglia della Nazionale. Conquiste, rinunce, parentesi complicate. E quel modo così libero di fare gol, in diagonale o saltando sopra i giganti. Non ha fatto “solo” il calciatore, ha giocato a pallone. Provandoci sempre. Perché i calzoncini si lavano ma i rimpianti mica tanto. Per questo anche i bambini dovrebbero conoscere la sua storia, per certi versi vicina ai racconti di un tempo, quando fino a tardi si giocava sotto casa. Secondo Pellissier il lavoro non si lascia mai a metà. È così che in carriera ha fatto trentuno meritandosi una maglia per sempre. E non per modo di dire. Ma la storia non finisce qui, perché in mezzo ai mille guai che il Chievo sta passando, con il rischio di sparire, Pellissier con tutto se stesso sta provando a immaginare soluzioni alternative per garantire un futuro alla squadra del suo cuore. Un capitolo ancora da scrivere…