Beniamino Vignola è l’ uomo che tutti ricordano per la straordinaria carriera da calciatore con le maglie di Verona, Avellino e Juventus, ma sarebbe estremamente riduttivo limitare la figura di questo campione solamente alla sua esperienza calcistica.
A tal proposito, oggi approfondiremo le numerose sfaccettature che si nascondono alle spalle di Beniamino, a partire da qualche aneddoto sulla sua carriera da calciatore, fino al Vignola 2.0, quello nelle vesti di imprenditore e amministratore.
Cominciamo dalle sensazioni provate nell’indossare la maglia gialloblù l’anno successivo a quello della vittoria dello scudetto.
Senza alcun dubbio per me è stato un onore indossare la maglia dell’Hellas Verona, un’emozione fortissima e indescrivibile. Le ambizioni erano tante, anche se, obiettivamente, era difficile ripetersi dopo il glorioso anno dello scudetto. La squadra era molto forte, ma fummo martoriati dagli infortuni, che, se pur di breve durata, hanno inciso nel nostro percorso in campionato. Inoltre numerosi miei compagni di squadra erano in orbita nazionale poiché, al termine della stagione 1985/1986, ci sarebbero stati i mondiali in Messico. Diciamo che è stata una stagione molto dispendiosa e impegnativa, ma di cui vado estremamente fiero.
Attualmente le manca il mondo del calcio giocato?
Il mondo del calcio mi è sempre mancato tantissimo, ma, fortunatamente, riesco a sopperire a questa mancanza guardando numerose partite in televisione e andando allo stadio. Mi manca calcare il terreno di gioco, il profumo dell’erba e le ore che precedono la partita. La preparazione e la tensione pre partita non le scambierei con nulla al mondo. Infine ho sempre dato molto valore ai momenti di delusione
Parliamo delle scelte del dopo-calcio: quali furono le sue prime idee?
Per noi calciatori il fine carriera è un momento triste da punto di vista psicologico, perché coincide con l’abbandono del divertimento. Inizialmente vissi una breve esperienza a livello dirigenziale, ma poi iniziai a lavorare per l’azienda di famiglia. Mio suocero mi offrì l’opportunità di lavorare da Vetrauto, dove effettuiamo ricambi e riparazioni dei vetri delle vetture. L’azienda è cresciuta, adesso c’è anche la Vetrocar, con molte filiali in tutta Italia. Inoltre, per un breve periodo di tempo, intrapresi il percorso da allenatore, ma decisi di abbandonarlo perché sarebbe stata una vita che mi avrebbe portato lontano dalla mia città. Necessitavo di un qualcosa di sicuro e la stabilità prese il sopravvento sull’incertezza.
Ora com’è la sua vita? Le piace la sua nuova professione?
*Sono l’amministratore di Vetrauto, assieme a mio cognato. Sono entusiasta dei risultati raggiunti sino ad ora anche se nella vita, come nello sport, in molteplici momenti è fondamentale mantenere una certa stabilità, soprattutto in un momento difficile come questo che stiamo vivendo. Nel lavoro cerco di importare alcune mie esperienze sportive, infatti reputo fondamentali il gioco di squadra e la valorizzazione di ogni singolo componente del gruppo.
Un aneddoto che racconto sempre volentieri, poiché rispecchia la mia visione lavorativa è quello relativo al rispetto degli orari: è importante, in numerosi contesti lavorativi, la rigidità e il e il rispetto delle regole. L’aneddoto consiste nel fatto che chiunque arrivi in ritardo a lavoro, sa che dovrà presenziare il sabato mattina per pulire il magazzino e portare dei pasticcini o delle brioche per tutti i componenti del team di lavoro. Questo per dare ancor di più un senso di coesione e compattezza, lo definisco un connubio tra scherzo e verità.
Più bello vincere da giocatore o migliori le soddisfazioni come imprenditore?
*Difficile esprimere una preferenza, quindi svio la domanda dicendo che gli obiettivi che ho raggiunto giocando a calcio (uno scudetto, un coppa dei campioni e una coppa delle coppe) hanno un peso inestimabile, li reputo dei traguardi di uno spessore unico. È altrettanto vero che, le soddisfazioni ottenute attraverso la gestione di un’azienda, hanno un peso notevole e incommensurabile.
La sua “nuova” professione le consente di trascorrere molto più tempo con la propria famiglia? Possiamo parlare di riscoperta di “nuovi” valori?
Senza ombra di dubbio la vita da calciatore richiede dei sacrifici, su tutti la lontananza da casa. Con il calcio è stato difficile dedicarsi a pieno alla mia famiglia e molte sensazioni, purtroppo, finiscono nel dimenticatoio. Ora, poter vivere la vita assieme al mio nucleo familiare, è importante. Ho visto crescere le mie figlie e ora sto vivendo passo dopo passo la crescita delle mie nipotine. Sono emozioni difficile da esplicitare e racchiudere in poche parole.
Il suo dopocalcio è all’insegna della “normalità”: la sua vita, il lavoro, la famiglia: dopo le luci della ribalta, le dispiace questa “normalità”?
La normalità è un qualcosa di molto raro al giorno d’oggi e per me è un gran complimento. In un mondo pieno di artifici, dove l’apparenza prende sempre più il sopravvento, la normalità è un gran pregio. Devo dire che mi reputo un uomo “normale” anche in questa nuova professione, quindi si, è un termine che mi si addice molto e mi lusinga.
dopo una sconfitta o a quelli di estrema gioia dopo una vittoria, poiché, a mio avviso, fanno trapelare il carattere e la compattezza di una squadra.
Come ci si sente quando si spengono le luci del palcoscenico calcistico?
Bella domanda, secondo la mia opinione dipende molto da come si vive la carriera da calciatore. Fortunatamente ho sempre tenuto i piedi ben saldi a terra e ho sempre considerato il calcio giocato come un momento destinato a concludersi. Sono sincero nel dirti che ho affrontato questo salto con grande serenità e umiltà. Sono entrato in punta di piedi in questo nuovo mondo e ho imparato il nuovo mestiere grazie ai consigli e agli insegnamenti di chi mi ha preceduto.
Parliamo delle scelte del dopo-calcio: quali furono le sue prime idee?
Per noi calciatori il fine carriera è un momento triste da punto di vista psicologico, perché coincide con l’abbandono del divertimento. Inizialmente vissi una breve esperienza a livello dirigenziale, ma poi iniziai a lavorare per l’azienda di famiglia. Mio suocero mi offrì l’opportunità di lavorare da Vetrauto, dove effettuiamo ricambi e riparazioni dei vetri delle vetture. L’azienda è cresciuta, adesso c’è anche la Vetrocar, con molte filiali in tutta Italia. Inoltre, per un breve periodo di tempo, intrapresi il percorso da allenatore, ma decisi di abbandonarlo perché sarebbe stata una vita che mi avrebbe portato lontano dalla mia città. Necessitavo di un qualcosa di sicuro e la stabilità prese il sopravvento sull’incertezza.
Ora com’è la sua vita? Le piace la sua nuova professione?
*Sono l’amministratore di Vetrauto, assieme a mio cognato. Sono entusiasta dei risultati raggiunti sino ad ora anche se nella vita, come nello sport, in molteplici momenti è fondamentale mantenere una certa stabilità, soprattutto in un momento difficile come questo che stiamo vivendo. Nel lavoro cerco di importare alcune mie esperienze sportive, infatti reputo fondamentali il gioco di squadra e la valorizzazione di ogni singolo componente del gruppo.
Un aneddoto che racconto sempre volentieri, poiché rispecchia la mia visione lavorativa è quello relativo al rispetto degli orari: è importante, in numerosi contesti lavorativi, la rigidità e il e il rispetto delle regole. L’aneddoto consiste nel fatto che chiunque arrivi in ritardo a lavoro, sa che dovrà presenziare il sabato mattina per pulire il magazzino e portare dei pasticcini o delle brioche per tutti i componenti del team di lavoro. Questo per dare ancor di più un senso di coesione e compattezza, lo definisco un connubio tra scherzo e verità.
Più bello vincere da giocatore o migliori le soddisfazioni come imprenditore?
*Difficile esprimere una preferenza, quindi svio la domanda dicendo che gli obiettivi che ho raggiunto giocando a calcio (uno scudetto, un coppa dei campioni e una coppa delle coppe) hanno un peso inestimabile, li reputo dei traguardi di uno spessore unico. È altrettanto vero che, le soddisfazioni ottenute attraverso la gestione di un’azienda, hanno un peso notevole e incommensurabile.
La sua “nuova” professione le consente di trascorrere molto più tempo con la propria famiglia? Possiamo parlare di riscoperta di “nuovi” valori?
Senza ombra di dubbio la vita da calciatore richiede dei sacrifici, su tutti la lontananza da casa. Con il calcio è stato difficile dedicarsi a pieno alla mia famiglia e molte sensazioni, purtroppo, finiscono nel dimenticatoio. Ora, poter vivere la vita assieme al mio nucleo familiare, è importante. Ho visto crescere le mie figlie e ora sto vivendo passo dopo passo la crescita delle mie nipotine. Sono emozioni difficile da esplicitare e racchiudere in poche parole.
Il suo dopocalcio è all’insegna della “normalità”: la sua vita, il lavoro, la famiglia: dopo le luci della ribalta, le dispiace questa “normalità”?
La normalità è un qualcosa di molto raro al giorno d’oggi e per me è un gran complimento. In un mondo pieno di artifici, dove l’apparenza prende sempre più il sopravvento, la normalità è un gran pregio. Devo dire che mi reputo un uomo “normale” anche in questa nuova professione, quindi si, è un termine che mi si addice molto e mi lusinga.
Diego De Angelis