All’incrocio con via Stresa, una 128 targata Corpo Diplomatico sbarrò la marcia ad una Fiat 130 che stava percorrendo via Fani. A bordo della Fiat 130, quella mattina di 44 anni fa, sedeva Aldo Moro. Di lì a poco: il sequestro da parte Brigate Rosse e l’assassinio di tutti gli uomini della sua scorta. Quel sequestro e quella mattina segnarono la storia del nostro paese.
Non era una mattina qualsiasi. Quel giorno, alla Camera dei Deputati, era previsto un dibattito rilevante. Un dibattito cui sarebbe seguito il voto di fiducia per il quarto governo presieduto da Giulio Andreotti. Questo governo non aveva precedenti: per la prima volta dal 1947, il PCI avrebbe concorso direttamente alla maggioranza parlamentare di sostegno al nuovo esecutivo.
L’AGGUATO. Sono le 8,45, in via del Forte Trionfale 79, e gli uomini della scorta di Aldo Moro già lo attendono fuori dalla sua casa, per poterlo accompagnare alla Camera.
Poco dopo le 9,00 la Fiat 130, che trasporta l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci al volante, il caposcorta maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi e Aldo Moro sul sedile posteriore, attraversa via Mario Fani.
All’improvviso l’agguato. Moro viene sequestrato, gli uomini della scorta assassinati. “Questa mattina abbiamo sequestrato il presidente della Democrazia cristiana Moro ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di Cossiga. Seguirà comunicato. Firmato Brigate Rosse”: queste le parole con cui rivendicarono l’agguato e il rapimento un’ora dopo.
LA PRIGIONIA.. Moro trascorse i successivi 55 giorni di sequestro, in un appartamento di via Camillo Montalcini 8, sempre a Roma, e scrisse 86 lettere ai principali esponenti della Democrazia Cristiana, alla famiglia, ai principali quotidiani e all’allora Papa Paolo VI.
Molto dure le parole contenute nella lettera recapitata l’8 aprile: “Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro”.
Il 9 maggio, dopo 55 giorni di detenzione, Moro fu assassinato per mano di Mario Moretti, con la complicità di Germano Maccari. Il cadavere fu ritrovato il giorno stesso nel portabagagli di una Renault 4 rossa in via Caetani a Roma, vicino alla sede della DC e del PCI in pieno centro di Roma.
L’ADDIO. “Siamo ormai credo al momento conclusivo… Resta solo da riconoscere che tu avevi ragione… vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo e incredibile comportamento… c’è in questo momento un’infinita tenerezza per voi… vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo.»
Ecco le parole ferme e di infinita dolcezza con cui Aldo Moro si congedò, in una lettera, alla moglie Eleonora, pochi giorni prima di andarsene per sempre.
Stefania Tessari