“Vogliamo essere un paio di lenti poliedriche, uno strumento per guardare la realtà da punti di vista differenti”. Così descrivono “Formae Mentis” le ideatrici e gli ideatori di LENSart – Leonardo Zoccante, Giovanni Monzon, Francesca Malverti e Matilde Nuzzo – team specializzato nella creazione di progetti artistici e culturali legati alle scienze neuropsichiatriche. Con un ricco programma pensato per divulgare la conoscenza e accrescere l’inclusione, Verona e Treviso si sono tinte di blu, il colore internazionale dell’autismo. Nelle due città è stata anche ospitata, in spazi simbolici di incontro e confronto (le vetrine della Biblioteca Civica a Verona e la sede del Consiglio Comunale a Treviso), una mostra diffusa di arte inclusiva. Mentre a Treviso l’esposizione ha esplorato il tema della “metamorfosi”, dall’identità in evoluzione alle relazioni umane, dalla percezione dei luoghi alle aspirazioni individuali, nella nostra città la narrazione si è focalizzata su quotidianità e storie private di alcune artiste donne. L’allestimento veronese, organizzato e curato dall’associazione M.Arte, pone l’accento sugli incontri significativi della vita e su emozioni, ricordi e sensazioni che, attraverso la libertà espressiva, fluiscono su carta e tela. L’invito per tutte e tutti è quello di osservare quanto ci circonda con sguardo rinnovato, il più possibile privo di stereotipi e pregiudizi. “Un elogio all’alterità, alla differenza e all’inclusione” scrive il gruppo promotore e l’obiettivo è provare a vedere con formae mentis diverse, utili a rendere visibile chi è spesso escluso e posto ai margini della nostra società. Punti di vista nuovi ci permettono di cogliere competenze in attesa di riconoscimento, saperi nascosti da svelare e abilità personali da sviluppare. L’arte, in quest’ottica, si pone come una lente di ingrandimento che apre a universi nascosti o poco conosciuti, diventa un mezzo di condivisione potente e promuove l’accessibilità di spazi fisici e mentali. Grazie all’espressione artistica, in ogni sua rappresentazione, si scavalcano le barriere e si ricerca un linguaggio visivo composito, alternativo alla comunicazione verbale razionalmente strutturata, ricco di forme, luci e colori. La sindrome dello spettro autistico, coinvolgendo l’interazione sociale, definisce una percezione sensoriale particolare che può influire, con sintomi molto variegati, su autonomia e vita relazionale. La condizione è più diffusa di quanto si possa pensare e, per interessare l’opinione pubblica, l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) ha istituito il 2 aprile di ogni anno la “Giornata della Consapevolezza dell’Autismo”. In tutto il mondo si organizzano attività di sensibilizzazione per far scoprire al pubblico questa situazione, supportare persone e famiglie, proporre una maggiore accettazione e comprensione. Nel 2007, su proposta dell’associazione “Autism Speaks”, si è anche dichiarato il “blu colore dell’autismo” immaginandolo come tinta enigmatica, potenzialmente capace di far leva su due temi fondamentali: il “bisogno di conoscenza” che solo ricerca e divulgazione continua possono concretamente realizzare e il “risveglio della sicurezza”, essenziale per vivere un’esistenza libera e protetta. Così il blu, in tutte le sue varianti (brillante nelle giornate serene, cupo nel corso di una tempesta), emblema di ottimismo e speranza in un futuro migliore, diventa policromia in grado di rappresentare una sindrome plurale, piena di sfumature e intensità. Un universo complesso che, grazie a esperienze come “Formae Mentis”, emerge e chiede di essere osservato senza giudizio, da diverse prospettive.
Chiara Antonioli