Verona, se si esclude la presidenza di Angelo Tomelleri (terminata nell’agosto del 1980), ha sempre contato poco in Regione. Ha avuto l’assessorato alla Sanità (Martini, Tosi, Coletto, quest’ultimo poi andato al governo e in Umbria) e qualcos’altro qua e là, al pari o forse meno di Rovigo e Belluno. Sono Padova, Treviso e Venezia a comandare. E anche Vicenza è più importante di Verona: non è certo un caso che Ciambetti sia stato riconfermato presidente del parlamento di Palazzo Ferro Fini e che l’assessore al Lavoro e all’Istruzione Donazzan sia intoccabile. La Donazzan negli ultimi anni è riuscita anche a conquistarsi una discreta ribalta nazionale. Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona perché è il mondo, inteso come mondo politico italiano, a non considerarla. Non crediamo che tutti ce l’abbiano con Verona. D’altronde perché dovrebbero? Pensiamo piuttosto che siano stati il provincialismo, il timore, e la scarsa abilità mediatica di chi l’ha guidata finora (salvo rare eccezioni) a relegarla al ruolo di periferia dell’impero Veneto, figuriamoci italiano.
DE BERTI “DOGARESSA”
Non sorprende che l’unico assessorato regionale “veronese” sia stato assegnato nuovamente a Elisa Berti, fedelissima di Luca Zaia, avvocato, donna pratica della Bassa, un tempo sindaco di Isola Rizza. Gli altri due veronesi in corsa, sulla carta, erano l’ex assessore comunale alla Sicurezza Daniele Polato e il presidente di Acque Veronesi Roberto Mantovanelli, non candidato alle regionai ma sponsorizzato da Lorenzo Fontana. Tra gli “staff” degli interessati si susseguono telefonate per capire se nei prossimi mesi Zaia potrebbe ripescarli. Idem chi sperava di prendere il loro posto in Consiglio e nella municipalizzata. E’ probabile – lo ha lasciato intendere lo stesso governatore – che una volta normalizzata la seconda ondata di Covid la squadra di governo regionale verrà implementata.
“TROPPE PRESSIONI”
A Verona, si dice, spetta un altro posto. Dalla teoria alla pratica però ne passa. Zaia, pochi giorni prima di annunciare gli assessorati, aveva lanciato un messaggio chiarissimo: qualcuno, questa la sintesi, stava facendo pressioni eccessive per accaparrarsi l’ambita poltrona. Richiesta di colloqui giorno e notte, “ambasciatori”, strategie ben poco napoleoniche. E non è che la situazione non fosse nota. Il Doge ha rimesso tutti al proprio posto limitando all’osso la composizione della sua squadra.
IL COMUNICATO
La Lega di Verona però gonfia il petto ed esprime “grandissima soddisfazione per la nomina a vicepresidente della Regione Veneto dell’assessore De Berti, carica prestigiosa e importante mai ottenuta prima da un rappresentante del territorio veronese. La decisione del presidente Zaia, che ha ridotto la giunta a 8 componenti di cui 7 leghisti suddivisi in uno per ogni provincia, è come lui stesso ha dichiarato ‘un bel segnale alla comunità veronese”, di fiducia e considerazione, un investimento sul futuro sia a livello regionale che cittadino, a dimostrazione del concreto peso della Lega di Verona nell’attuale panorama Veneto”. Non c’è dubbio che il Carroccio, benché il primo partito in città sia diventato Fratelli d’Italia, nell’assemblea veneziana continuerà a fare la parte del leone. La nota leghista ringrazia in modo particolare Fontana (commissario della Liga Veneta) e il governatore. Poi una stoccata (agli alleati di Fdi?): “Crediamo che le polemiche sterili e le sciocchezze lette in questi giorni di inizio legislatura non giovino né a Verona né al Veneto”. Nel frattempo, a Verona, Agsm attende da tre mesi la nomina del presidente, l’assessorato alla Sicurezza è vacante, quello al Demanio-Anti corruzione e Trasparenza è dato da mesi in bilico, e altri ruoli strategici per la città attendono di essere occupati. La ridda dei nomi è pressapoco sempre quella. Ciò che serve a Verona sono fatti. E invece sono tutti lì a capire chi andrà dove, l’effetto domino che si scatenerà, assistentI e tirapiedi in cerca di un posto al sole.