Veronese, liceo al Maffei, laurea in lettere all’Università di Bologna, ex insegnante di italiano alle superiori, ex giornalista collaboratore di alcune testate cittadine, presidente della Società Letteraria per tre mandati e da poco rieletto alla guida dell’associazione La città che sale, nata nel 2019 da professionisti e docenti universitari veronesi, per promuovere il dibattito pubblico su temi economici, sociali, culturali e politici. Alberto Battaggia, consigliere comunale, è il presidente della sesta commissione Cultura e Turismo, oltre che il coordinatore del blog Area, “uno strumento di dialogo e confronto con la città”, come lui stesso lo definisce, per l’informazione politica dell’area del sindaco Damiano Tommasi.
Dottor Battaggia, nel suo profilo dichiara: “amo Verona profondamente ma non sempre”. Quand’è che non la ama?
“La amo di meno quando tende a non parlare dei problemi che ha. Quando è un po’ troppo discreta nell’analizzare le proprie difficoltà”.
A proposito della politica, sostiene di avvertirne “più il fascino che le tristezze”. La pensa ancora così dopo un anno e mezzo di amministrazione?
“Aggiungerei che, oltre al fascino, ne sto sperimentando le opportunità: la politica ti mette in grado di offrire alla comunità iniziative concrete”.
Nella lista Tommasi, di cui lei è coordinatore, cosa trova di diverso da un partito tradizionale?
“Sicuramente la diversità dell’appartenenza: la lista assembla persone che hanno esperienze politiche precedenti piuttosto eterogenee. Da una parte è una ricchezza, dall’altra dovrebbe, nel tempo, acquisire un’identità politica più precisa. Su questo, il dibattito è molto aperto. Credo comunque che la nostra lista occupi già uno spazio politico specifico: è stata la più votata l’anno scorso, perché percepita come soggetto politico che occupa sostanzialmente uno spazio di centro-sinistra”.
Verona è città culturalmente viva o spenta?
“É città di grandi tradizioni culturali, di istituzioni centenarie. Sicuramente è una città viva, ricca di risorse culturali. Piuttosto direi che ha un abito mentale, politico e culturale tutto suo. É una città che fatica a discutere in maniera trasparente le questioni che la riguardano”.
In estate la città vive con gli spettacoli in Arena, ma in inverno?
“Il teatro c’è, ma è vero che alcuni settori soffrono. Ad esempio le esposizioni, dove c’è un’evidente difficoltà a promuovere grandi mostre. Il problema principale è che sono venute meno le sedi espositive, il che rende difficile pensare a mostre di un certo profilo”.
Mancano le grandi mostre perché non ci sono le sedi idonee ad ospitarle?
“Premesso che c’è stata una caduta delle risorse pubbliche per la cultura, va detto che la chiusura di palazzo Forti, per Verona, è stata un vero disastro. Perché ha costretto la Galleria d’arte moderna a trasferirsi a palazzo della Ragione, che doveva essere finalizzato solo alle mostre temporanee. Non certo a sede della Gam, che ha lo spazio solo per esporre le sue collezioni”. (rl)
Palazzo Forti, del Capitanio e San Pietro
Bisogna raggiungere un accordo di gestione con Cariverona per le esposizioni artistiche
Palazzo Forti ora è di Cariverona.
“L’acquisto del palazzo da parte di Cariverona non ha coinciso con alcun tipo di progettualità, né da parte della Fondazione né da parte pubblica. Per questo sarebbe auspicabile concordare con Cariverona una qualche forma di gestione del palazzo, che ha una destinazione vincolata dal lascito Forti a sede di esposizioni artistiche”.
Oltre a palazzo Forti, anche Castel San Pietro e palazzo del Capitanio sono di proprietà di Cariverona. Avete contatti per capire cosa vogliono farne?
“La vendita, per fare cassa, di questi tre grandi immobili di pregio storico-culturale ha creato problemi enormi. Prima di tutto perché gli spazi in cui si potrebbero organizzare progetti espositivi di alto profilo non sono più del Comune. Inoltre due di questi immobili, palazzo del Capitanio e Castel San Pietro, necessitano di investimenti ingenti per completare il restauro”.
Palazzo del Capitanio ha un vincolo a destinazione culturale.
“In parte si. E potrebbe diventare uno dei più straordinari palazzi italiani sede di esposizioni: ha sale immense e una posizione centrale che, secondo me, assicurerebbe una redditività garantita, considerando i flussi turistici che la città intercetta già ora. Certo ci vuole un progetto di altissimo profilo e investimenti notevoli”.
Parliamo di ArtiVer, il suo progetto che punta a rilanciare l’arte contemporanea a Verona. A che punto siamo?
“L’iniziativa si fonda su tre propulsori: un’associazione per riunire le otto gallerie di arte contemporanea della città, una formata da una decina di collezionisti veneti e lombardi e la Galleria d’arte moderna. L’obiettivo è garantire un’attività espositiva e culturale continuativa per tutto l’anno nel campo dell’arte contemporanea, a favore dei cittadini e dei visitatori. L’accordo è già stato trovato, ora stiamo lavorando per formalizzarlo”.
Resta il problema di trovare gli spazi adeguati.
“Certo, l’arte contemporanea richiede spazi molto ampi. L’obiettivo di medio-lungo termine è quello di costituire un Centro di cultura e arti contemporanee in un immobile dismesso in aree periferiche della città, in un’ottica di rigenerazione urbana. Credo che gli imprenditori disposti a mettere a disposizione spazi inutilizzati non manchino. Penso in particolare all’area delle Cartiere Fedrigoni o all’ex Galtarossa, dove sono già presenti i poli culturali Studio la Città e 311”.
I galleristi però premono per partire intanto in una sede provvisoria.
“L’ideale sarebbe riuscire a stringere un accordo con Cariverona per la cogestione di palazzo Forti, sulla base di un progetto culturale per riportarvi collezioni di arte moderna e contemporanea. Ma anche un accordo con l’Università per l’utilizzo provvisorio del secondo silos a Santa Marta potrebbe rappresentare un’ottima soluzione”. (rl)
Verona è pronta per il salto di qualità
La proposta di aumentare il turismo colto e rafforzare il legame della città con la musica
Centro storico di Verona: sempre meno residenti; una marea di turisti mordi-e-fuggi; piccoli esercizi commerciali di bassa qualità. É possibile invertire questa tendenza?
“Superato lo choc post Covid, la città ha riconfermato un tessuto commerciale vivacissimo. Quindi credo che Verona sia matura per fare un salto di qualità. Dobbiamo puntare a un’offerta culturale che alimenti un turismo più esperto, più colto, disposto a soggiornare qui diversi giorni. Questo può avvenire abbinando la nostra proposta principale, la stagione lirica in Arena, con altre offerte culturali di alto profilo. Ne guadagnerebbe la qualità dell’intero tessuto urbano”.
Oltre alle grandi mostre, che ora mancano, lei cosa proporrebbe?
“Una riflessione strategica su Verona città della musica. Dove l’opera traini a livello internazionale l’immagine dell’Arena, che dovrebbe ospitare solo alcuni eventi di extralirica di altissimo livello. L’importante è che l’anfiteatro sia riconosciuto come il centro di una tradizione centenaria, l’opera, e anche come luogo aperto a grandi spettacoli di alto profilo in altri campi”.
E la musica cosiddetta leggera? I concerti rock?
“Bisogna spostarli in altre sedi. Ad esempio allo stadio Bentegodi, per il quale il sindaco Tommasi sta valutando un progetto di riqualificazione straordinario: un grande stadio che ospiti sia il calcio che i concerti. Diventerebbe l’unica struttura del nord est con una funzionalità polivalente”.
Rossella Lazzarini