Valpolicella, l’ora di cambiare marcia Dal ‘57 c’è il vincolo paesaggistico, ma i Comuni hanno raramente ragionato come “squadra”

Quando nel 1957, il Sopraintendente Gazzola ha posto il vincolo paesaggistico sulla Valpolicella, probabilmente sperava che gli amministratori dei vari comuni e gli uffici preposti al controllo, tutelassero il patrimonio ambientale e culturale della valle con maggior attenzione ed impegno.
Nonostante l’intera vallata fosse sottoposta al vincolo paesaggistico, si sono sviluppati fenomenquali la “negrarizzazione”, che hanno deturpato l’equilibrio paesaggistico di intere zone. Probabilmente, il rapporto tra le amministrazioni e gli investitori privati di capitali, le pressioni di molti esponenti politici, la mancanza di sensibilità e di adeguati controlli, li hanno favoriti.
Dal secondo dopoguerra ad oggi, nonostante le peculiarità della Valpolicella, si è preferito favorire le esigenze economiche piuttosto della tutela territoriale. Il modello di sviluppo si è basato sulla
speculazione edilizia, sull’eccessivo sfruttamento delle cave e, più recentemente, sull’aggressione degli impianti a vigneto anche nelle zone a quote medio-alte, provocando lo sbancamento ed il terrazzamento di intere colline e l’eliminazione della vegetazione tipica di quei luoghi.
Era possibile seguire altri modelli di economia, basati sulla valorizzazione ecosostenibile del patrimonio architettonico, culturale, paesaggistico ed enogastronomico della valle, la Francia insegna. Invece, si è permesso che si cementificasse il suolo, peggiorando l’equilibrio idrogeologico della valle, con conseguenze negative per l’ambiente, il paesaggio e la sicurezza del territorio.
Ora, il dialogo tra sindaci e Soprintendenza, è certamente positivo, ma non sufficiente. La Valpolicella è composta da sette Comuni, che sinora hanno fatto le scelte d’uso del proprio
territorio in modo autonomo e indipendente, spesso per motivi clientelari ed elettorali. In questo modo, ognuno ha avuto la propria zona produttiva e industriale, le proprie aree residenziali,
sportive, commerciali, direzionali e funzionali allo smaltimento dei rifiuti, consumando molto più
suolo rispetto ad un tipo di pianificazione urbanistica a scala comprensoriale, che riunisca i sette comuni e sia normata da un Piano Strutturale Intercomunale. In questo modo, sarebbe possibile bonificare il territorio da tutta la brutta edilizia non o sottoutilizzata, tutelare le zone e le eccellenze
architettoniche, culturali, storiche e naturalistiche e soprattutto bloccare il consumo del suolo in favore di un recupero tipologicamente ed ecologicamente sostenibile.
Concludo, auspicando che la definizione delle zone e degli elementi soggetti ai vari gradi di tutela e i relativi controlli sul rispetto dei vincoli, siano effettuati da organi tecnici sovracomunali, liberi da ogni condizionamento elettorale e/o economico.

Giorgio Massignan, presidente di Verona Polis, ex assessore all’Urbanistica