Terzo appuntamento con la rassegna “Il Grande Teatro” organizzata dal Comune di Verona e dal Teatro Stabile di Verona – Centro di Produzione Teatrale. Dopo “Il caso Kaufmann” e “La coscienza di Zeno” il Grande Teatro prosegue con l’attesissimo “L’ispettore generale” in scena al Nuovo da martedì 5 a sabato 9 dicembre alle 20.45 e domenica 10 alle 16.
Con la regia di Leo Muscato ne è protagonista, nel ruolo del podestà, Rocco Papaleo. Completano il cast Marta Dalla Via (moglie del podestà), Letizia Bravi (figlia del podestà), Marco Vergani (direttore scolastico), Marco Gobetti (giudice), Gennaro Di Biase (sovrintendente Opere pie), Marco Brinzi (ufficiale postale), Michele Schiano Di Cola (Dobčinskij), Michele Cipriani (Bobčinskij), Daniele Marmi (Chlestakov), Giulio Baraldi (Osip), Salvatore Cutrì (attendente / mercante) ed Elena Aimone (medico / vedova / moglie del fabbro / servitore di locanda). Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano, dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e dal TSV – Teatro Nazionale, si avvale delle musiche originali di Andrea Chenna, delle scene di Andrea Belli, dei costumi di Margherita Baldoni e delle luci di Alessandro Verazzi. “L’ispettore generale” di Nikolaj Gogol è uno dei capolavori della drammaturgia russa. Scritta nel 1836, ma tragicamente più attuale di quanto si possa immaginare, rivive oggi grazie alla regia di Leo Muscato. È una commedia satirica estremamente divertente che si prende gioco delle piccolezze morali di chi detiene un potere e si ritiene intoccabile. È forse l’opera più analizzata, criticata, incompresa, difesa, osteggiata, della letteratura russa di tutti i tempi. Gogol stesso si sentì in obbligo di scrivere diversi testi che fugassero i fraintendimenti sorti al suo debutto. Non era la prima volta che sulle scene russe venivano rappresentati gli abusi quotidiani dei burocrati statali. Ma tutti i testi precedenti erano basati sulla contrapposizione fra il bene e il male, con personaggi positivi e negativi. Nell’ “Ispettore generale” invece, per la prima volta, i personaggi sembravano essere tutti negativi, e per gli spettatori dell’epoca, questo era inconcepibile. Persino il finale appariva eccessivamente ambiguo, sia perché sulla scena non veniva esplicitato il trionfo della giustizia e la punizione dei corrotti, sia perché non era esplicitato se il vero ispettore generale annunciato nell’ultima scena, avrebbe fatto giustizia o si sarebbe comportato come il falso revisore. L’opera è un’espressione emblematica del teatro gogoliano e del suo tentativo di denunciare, attraverso riso e comicità la burocrazia corrotta della Russia zarista. Siamo in un mondo in cui l’ingiustizia e il sopruso dominano l’esistenza. Ma non è l’uomo a essere malvagio; è la società che lo rende corrotto e corruttore, approfittatore, sfruttatore, imbroglione.
Molti spettatori videro il testo come una minaccia all’ordine costituito: gli abusi dei funzionari non potevano costituire il soggetto di una commedia naturalistica, perché di certo trattavano casi particolari. Secondo quegli spettatori le opere incentrate solo sugli aspetti negativi della realtà potevano avere esclusivamente il carattere della farsa alla stregua del vaudeville. In realtà, il testo di Gogol è molto più metaforico che naturalistico.
La cittadina in cui è ambientata l’azione non rappresenta una concreta località russa, ma un piccolo mondo sociale integro e autosufficiente, un microcosmo autonomo perfettamente isolato nel quale l’autore fa confluire tutto il male osservato in Russia.
Lo spettacolo che ha debuttato con grande successo lo scorso 26 ottobre al Comunale di Bolzano, giunge a Verona dopo essere stato in scena, tra gli altri, al Quirino di Roma, al Rossetti di Trieste e al Carcano di Milano. Dopo Verona la tournée proseguirà per altri due mesi e mezzo toccando “piazze” prestigiose tra cui Torino (Teatro Carignano) e Venezia (Teatro Goldoni).