Una vita spesa per l’arte. Parla Giorgio Fasol E’ uno dei grandi collezionisti di quella contemporanea. Grazie alla passione e alla competenza acquisita in anni di visite a mostre e gallerie con la moglie Anna, ha dato vita a una straordianaria raccolta privata. Impegno a sostegno dei giovani

Uno dei grandi collezionisti italiani di arte contemporanea è nato e vive a Verona. Città priva di un museo di arte contemporanea. Classe 1938, di professione ragioniere commercialista fino al 2014, grazie alla grande passione e competenza per l’arte contemporanea, acquisita in anni di visite a mostre e gallerie con la moglie Anna, Giorgio Fasol ha dato vita a una straordinaria raccolta privata: “AGIVERONA Collection”. Dal 1988 concede in prestito le opere della sua collezione a Musei e Fondazioni di tutto il mondo. Dal 2005 è membro dell’Advisory Board di ArtVerona. Il 6 ottobre 2023 il Museo Novecento di Firenze, in collaborazione con il MUSE, gli ha assegnato il premio internazionale, ideato da Sergio Risaliti, “Rinascimento+” per il suo impegno a sostegno dell’arte e, in particolare, dei giovani artisti.
Un commercialista attratto dal linguaggio artistico contemporaneo: come si passa dalla concretezza (dei numeri) all’astrattismo?
“Sono sempre stato collezionista. Da bambino avevo una delle migliori collezioni di figurine di calciatori, da ragazzo sono passato ai francobolli e, a 20 anni, all’arte contemporanea”.
Com’è nata la passione per l’arte contemporanea?
“Ero appena diplomato. Avevo visto su una rivista un servizio su Giorgio Morandi. Io non sapevo neanche chi fosse, ma mi innamorai delle sue opere. Avevo messo da parte 365 mila lire: all’epoca, 1958, erano bei soldi! Convinto di disporre di un gran cifra, andai nell’unica galleria d’arte allora esistente a Verona, Novelli in via Oberdan, e chiesi un Morandi. La gallerista mi rispose: “La scelta giusta. Te lo procuro, però sappi che costa intorno al milione”. Così me ne andai. Fu il primo approccio al collezionismo d’arte”.
La prima opera acquistata?
“Dieci anni dopo, un piccolo Lucio Fontana acquistato nel 1969 alla galleria Cattaneo di Brescia. Avevo un milione, a fronte dei tre che il gallerista mi chiedeva. Di Fontana, che era morto l’anno prima, io ero innamorato da tempo. Così chiesi di poter pagare il quadro a rate, per ritirarlo una volta saldato il conto. Ero con mia moglie, eravamo appena sposati. Il gallerista mi disse: “fai bene a prendere Fontana, ma ti faccio vedere un giovane che diventerà altrettanto famoso”. E mi portò un rotolo di tela bianca, molto grande, con delle S e delle frecce nere: era un’opera di Jannis Kounellis. Bellissima. Ma anche quella costava un milione. Mia moglie mi ricordò che avevamo già un debito, così andammo via. Da lì nacque il mio interesse per i giovani artisti”.
Com’è il rapporto fra galleria e collezionista?
“Molto importante. La galleria sceglie l’artista e le sue opere. Il mondo dell’arte è come un motore, con i suoi ingranaggi: il primo è l’artista, il secondo la galleria, il terzo il critico, il quarto il collezionista, il quinto il museo, il sesto le fiere. Adesso, da qualche anno, si sono aggiunte le aste. É importante che ciascuno operi bene nel suo settore”.
L’ultima opera che ha acquistato?
“In marzo. La galleria Artericambi in Zai aveva esposto i lavori di quattro giovani dell’ultimo anno dell’Accademia di Verona. Ero a visitare la galleria con un amico collezionista che, a differenza di me, acquista solo artisti già affermati. L’ho convinto a comperare tutta la mostra: quattro opere io, quattro lui. Dopo un mese mi chiama un’importante rivista di arte contemporanea per chiedermi un’intervista. In cambio, chiedo loro di pubblicare i lavori dei giovani artisti veronesi. E così è stato. I ragazzi erano felicissimi, e io più di loro”.
Come sceglie, fra tante, l’opera da acquistare?
“Deve scattare una scintilla. L’acquisto di un’opera dev’essere un atto d’amore. Però serve anche la conoscenza profonda della storia e del mondo dell’arte, che è difficilissimo. Quindi prima conta la conoscenza, poi la galleria. Che è importante, perché è quella che fa le prime scelte. In Italia ci sono più di centomila che si dichiarano artisti. Di validi ce ne saranno trecento, e fra questi ne potranno rimanere nella storia non più di una decina”.
Capita che gli artisti giovani su cui lei investe raggiungano il successo?
“Mi piace scommettere sui giovani, lasciarmi coinvolgere dal colpo di fulmine oltre ogni ragionevole dubbio. Il più delle volte la fortuna mi assiste, gli artisti su cui punto spesso raggiungono successi importanti anche a livello internazionale”.
Che consigli darebbe a un giovane artista?
“Impara l’inglese, usa il computer, vai all’estero, confrontati con quelli più bravi di te. Credo sia compito nostro indirizzare i giovani. Io esprimo sempre la mia opinione. Per esempio, tengo molto che si appoggino a una galleria, un luogo essenziale sia per l’artista che per il collezionista”.
Quante opere della sua collezione ha dato in prestito ai vari musei italiani e internazionali?
“Dal 1988, almeno cinque opere all’anno viaggiano verso Musei e Fondazioni in tutto il mondo e dal 2010 la collezione AGIVERONA è stata esposta in otto musei”.
La più bella mostra dedicata alla sua collezione?
“Linguaggi e Sperimentazioni” al Mart di Rovereto nel 2010: 75 opere di giovani artisti, dai 20 ai 35 anni, realizzate tutte tra il 2000 e il 2010. Più altre 25 opere di artisti internazionali date in comodato a lungo termine. E anche “Che il vero possa confutare il falso” nei musei di Siena mi ha dato molta soddisfazione”.
Verona e l’arte contemporanea: rapporto quasi inesistente…
“Culturalmente Verona è addormentata da troppi anni. Anche se qualcosa, adesso, sta cambiando. Penso alla Casa Museo aperta dalla famiglia Carlon: è stata un’azione straordinaria, un grande regalo fatto alla città. Penso alle gallerie veronesi, che continuano assiduamente nel loro lavoro, in particolare Studio la Città che da oltre 50 anni opera per portare una cultura internazionale a Verona. E poi c’è il progetto che ho presentato all’Università di Verona, accolto con entusiasmo dall’allora rettore Sartor e dal senato accademico: da settembre 2019 una mostra permanente di 80 opere della mia collezione è ospitata a Santa Marta e in altri cinque dipartimenti universitari. E nella primavera di quest’anno è stata inaugurata una seconda mostra nel dipartimento di Biotecnologie, con altre 30 opere”.
Questa amministrazione comunale sta lavorando per creare un network fra gallerie e collezionisti per esporre con continuità opere d’arte contemporanea. Lei aderisce?
“Io sono già impegnato con l’Università, ma vorrei tanto che Verona si svegliasse. Spero che questa iniziativa abbia successo, ma per fare uscire la città dal suo letargo serve anche che collaborino fra loro sei enti: Università, Comune, Fondazione Cariverona, Fiera e le associazioni dei commercianti e degli industriali. Dovrebbero mettersi tutti intorno a un tavolo e fare tutti un passo indietro. Non in avanti!”.
Ma secondo lei il progetto può decollare?
“Si, se tutti collaborano e navigano nella stessa direzione. Capisco le ristrettezze finanziarie dell’ente pubblico, ma bisogna muoversi, far lavorare i musei, che altrimenti diventano dei magazzini. E anche gli imprenditori devono fare la loro parte. Oggi non si può più coniugare solo impresa e profitto, bensì impresa, profitto e cultura”.

Rossella Lazzarini