Attore, regista, direttore artistico del Teatro Stabile di Verona fino al 2021, quando vince il concorso per la direzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Da allora Paolo Valerio vive felicemente a Trieste, appartamento vista mare, mette in scena produzioni di altissima qualità artistica e torna nella sua città natale solo nei weekend, per stare con la moglie, Vanessa Carlon, con cui è felicemente sposato da 25 anni e le due figlie quasi ventenni.
Partiamo dagli inizi: come è nata la vocazione di attore?
“É nata al liceo scientifico, dalla passione per la letteratura e la poesia, che sono state i punti di riferimento della mia adolescenza. Poi è iniziata la passione per il teatro – da ragazzo andavo a vedere molti spettacoli al Teatro Nuovo – e i primi passi come attore al Teatro Laboratorio di Ezio Maria Caserta”.
Poi la scuola a Milano.
“La grande passione è arrivata a 20 anni, quando ho iniziato la scuola del Piccolo di Milano. Dopo il diploma, come tutti, ho iniziato a fare i provini. La prima esperienza è stata al Teatro Stabile di Roma, con “Pericle, principe di Tiro” e la direzione di Scaparro; poi ho lavorato con il Teatro Elfo di Milano nel “Sogno di una notte di mezza estate”, per la regia di Elio De Capitani. L’amore per Ruzzante e Goldoni mi ha portato a incontrare de Bosio, con cui ho iniziato una bellissima tournée de “Le baruffe chiozzotte. Poi sono cominciati i progetti”.
Il personaggio che ama di più interpretare?
“Ho fatto per molti anni l’Amleto di Shakespeare: personaggio importante, è stata una lunga e felice convivenza! In realtà, i personaggi sono legati a incontri con registi. Vittorio Gassman diceva: un artista scava un pozzo profondo cento metri, un attore scava cento pozzi profondi un metro. Un attore, un personaggio lo accompagna e poi lo lascia”.
A quale regia è più legato?
”Alla prossima, “La coscienza di Zeno”, che aprirà la stagione del Teatro Rossetti di Trieste. Senza dimenticare le mie due ultime regie triestine, bellissime esperienze: “ La Bottega del caffè“ con Michele Placido e “Il Mercante di Venezia “ con Franco Branciaroli, che riprenderemo nel 2024 in molti teatri italiani”.
Dopo l’Aida, lo spettacolo più longevo di Verona è il suo “Romeo e Giulietta itinerante”. Quando l’ha inventato?
“Avevo 27-28 anni, ero in viaggio negli Stati Uniti. A New York ho avuto l’illuminazione: perché non facciamo Romeo e Giulietta nella casa di Giulietta? Così, nel luogo inventato dal genio di Antonio Avena, ho deciso di fare la mia prima regia: cento spettatori, ogni sera si smontavano le pedane per rimontarle il giorno dopo. Spettacolo frontale, con il pubblico a un metro. Ricordo la sera in cui venne a vederlo Carla Fracci: ero terrorizzato che gli attori che duellavano le pestassero i suoi preziosissimi piedi!”.
Da allora lo spettacolo si ripete ogni estate da trentacinque anni.
“Dalla casa ci siamo spostati alla tomba: gli spettatori scendevano a gruppi nella cripta. Poi è diventato itinerante, dal Teatro Nuovo in giro per la città. Adesso parte dalla casa di Giulietta, toccando i luoghi di Shakespeare a Verona, per finire sul palcoscenico”.
Si deve a lei anche la nascita del Teatro Alcione.
“Era un luogo abbandonato. Grazie al parroco di allora, don Luigi Cappelletto, lo abbiamo ristrutturato, abbiamo fatto un bellissimo palcoscenico e per molti anni è stato per me un luogo importante. Lì ho cominciato le prime regie, le prime rassegne teatrali con grandi artisti, il cabaret con i comici, il cineforum. Ricordo quando venne Moni Ovadia, che allora era parzialmente conosciuto: abbiamo chiesto alla comunità ebraica di Mantova di venire con il pullman, per aumentare il numero di spettatori! L’Alcione è stata un’esperienza bella e creativa”.
Mi dicono che Trieste l’ha accolta a braccia aperte. Si trova bene?
“Devo dire che è un’esperienza importante e anche inaspettata. É cominciata a 60 anni, quindi è anche una grande sfida. Trieste è una città affascinante per la sua bellezza e particolare per la sua storia. É l’unica città d’Italia che ha un assessore ai Teatri, che tra l’altro funzionano tutti molto bene. Il Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia, di cui mi occupo, ha diverse anime: un cartellone importante di prosa, quest’anno presentiamo settanta spettacoli; una stagione di musical, grazie a una sala con 1540 posti; e soprattutto diversi progetti produttivi. Quest’anno produciamo più di venti spettacoli, tra cui il più importante sarà “La coscienza di Zeno”, nel centenario della sua pubblicazione”.
Che città è Trieste?
“Una città molto attenta ai giacimenti culturali del ‘900: fondamentali Joyce, Svevo e Saba, ai quali il nostro Teatro ha dedicato molti progetti. E molto attenta ai luoghi della memoria e del ricordo, segnati dagli eventi tragici della storia, che hanno lasciato ferite ancora sensibili, ancora aperte”.
Dal punto di vista della vivacità culturale è più avanti Trieste o Verona?
“Trovo che siano, tutte e due, città culturalmente molto attive. Da una parte c’è la grande euforia estiva della città di Verona, che ha i luoghi: l’Arena con il festival lirico, il Teatro Romano con il festival shakespeariano. Ma anche l’attenzione invernale al teatro, partendo dai privati: Filarmonico, Nuovo, Ristori. Anche Trieste si apre d’estate, con la stagione del Rossetti che si sposta a Miramare e la rassegna Trieste Estate, dal castello di San Giusto a piazza Unità d’Italia. Come Verona è una città fortemente turistica, quindi con un pubblico anche internazionale. Sono entrambe città molto teatrali, con un bel pubblico e una grande attenzione. E culturalmente molto vive”.
Non avrebbe voglia di tornare a Verona?
“A Trieste mi sto trovando benissimo e sto lavorando molto bene. Ho una bella casa, affacciata sui due golfi, che mi ha trovato mia moglie, anche se è una casa solitaria. Devo dire che ho trovato tanti amici triestini, anche tennisti, lo sport che pratico da quando ero ragazzo. Però è chiaro che Verona è sempre nel mio cuore: la mia famiglia e i miei affetti sono qui. Quindi la nostalgia è forte”.
A proposito di tennis, nel primo spettacolo dopo il Covid, “Il muro trasparente”, di cui è attore e regista, lei recita e gioca a tennis per oltre un’ora. Come fa a reggere un esercizio psicofisico così estremo?
“In effetti è stata una grande sfida. L’ho pensato e costruito durante la pandemia. L’ho messo in scena al Teatro Nuovo, che è stata la mia fonte di ispirazione per oltre 25 anni. Da Verona, ho fatto repliche in tutta Italia e ne ho già in programma anche per l’anno prossimo. É duro, perché recito palleggiando più di un’ora, ma poi nella seconda parte è anche divertente, quando tutti gli spettatori giocano con me. É una fatica creativa, intensa. Ma come tutte le fatiche creative, la passione ti regge e la stanchezza quasi non la senti”.
Senta Valerio, lei a 60 anni gioca a tennis recitando, ha il fisico asciutto di quando era ragazzo, la stessa coda di cavallo. Ha un segreto per questa lunga giovinezza?
“Nessun segreto. Tutti i grandi maestri del teatro, che per me sono un insegnamento costante, recitano ancora: quest’anno a Trieste ospiterò Franco Branciaroli, Umberto Orsini, Gabriele Lavia e pochi mesi fa c’è stato Glauco Mauri. Questi grandi maestri (tutti più anziani di me!) attraverso il teatro hanno trovato un modo per non guardare al passato, ma pensare sempre al futuro. Quindi in realtà è il nuovo progetto che ti dà la passione e l’adrenalina per guardare avanti. Credo che l’arte, la cultura siano un grande modo per costruire sempre nuovi ponti e attraversare e scoprire nuovi mondi. É questo il grande fascino del teatro: ti fa guardare sempre oltre e ti dà il desiderio di sempre nuovi sogni”.
Rossella Lazzarini