Laurea a Padova in Economia, giovane corrispondente per L’Arena da Bussolengo, assunto al Comune di Verona nel 1973 come addetto stampa del sindaco Dc Leonzio Veggio. Da lì, una carriera strepitosa o, come ama dire lui, “spettacolare”. Gianpaolo Savorelli è stato direttore dell’Estate teatrale veronese dal 1975 fino alla pensione nel 2019, capoufficio stampa fino al 2000 e, dal 1982 al 1990, anche responsabile dell’ufficio stampa dell’Ente lirico Arena di Verona. Giovedì 6 luglio, al Teatro Romano, all’apertura della 75ma edizione del Festival Shakespeariano, l’amministrazione comunale gli ha conferito il Premio “Una vita per il teatro”.
Dottor Savorelli, partiamo dal Premio: se l’aspettava?
“Non so se me l’aspettavo, ma mi ha fatto piacere moltissimo. Speravo che ci fosse un riconoscimento per la mia attività, perché 45 anni di direzione artistica legati al Festival Shakespeariano del Teatro Romano, credo che in Italia siano una specie di record. Diciamo che mi ha fatto piacere che nella mia vita sia successo! L’ho ricevuto con grande soddisfazione e gratitudine per chi l’ha deciso”.
Eppure al teatro è arrivato per puro caso.
“Vero. Era sindaco Carlo Delaini, con cui avevo un ottimo rapporto. C’erano stati problemi e contestazioni sull’Estate teatrale e Delaini mi chiese se me la sentivo di prenderne in mano la gestione, affiancato da una commissione di esperti. Io facevo il giornalista, ero capoufficio stampa del Comune, di spettacoli non sapevo niente. L’unica esperienza era stata seguire per L’Arena il festival delle Voci Nuove in provincia! Allora dissi al sindaco: non ho esperienza, ma se mi affianchi una commissione, penso di riuscirci. Era il 1975. All’inizio la passione ha supplito alla competenza, poi mi sono fatto l’esperienza e sono arrivato ai 45 anni di attività”.
Come ha fatto a far decollare il Festival Shakespeariano fino ad arrivare al secondo in Europa dopo Stratford upon Avon?
“Fin dall’inizio ho pensato in grande. Cioè che per far decollare il Festival, servissero grandi produzioni e grandi attori di assoluta notorietà. Abbiamo cominciato nel 1976 con due spettacoli straordinari: Enrico V con Gabriele Lavia e Le allegre Comari di Windsor, dove il protagonista – Falstaff – era il grandissimo Tino Buazzelli. La cifra era quella delle grandi proposte shakespeariane: mettere in scena spettacoli di alto livello, che richiamassero l’attenzione della stampa nazionale. Poi abbiamo proseguito su questa strada e sul palco del Teatro Romano sono arrivati tutti i più grandi attori italiani”.
Poi, oltre a Shakespeare, Goldoni.
“Il nucleo storico del Festival Shakespeariano è sempre rimasto potente nella proposta, con produzioni di alto livello. Ma avevamo deciso di ampliare il cartellone a un autore veneto, Carlo Goldoni. Venezia aveva abbandonato un festival goldoniano nei campielli. Così l’abbiamo preso noi, e accanto a Shakespeare abbiamo messo in scena una trentina di nuove opere goldoniane. Per qualche anno, con de Bosio, abbiamo proposto anche Ruzante. E per un paio di anni abbiamo messo in scena anche gli autori elisabettiani”.
Il Festival oggi ha ancora lo stesso prestigio?
“Quando ho lasciato, ci sono stati i due anni di pandemia, con una oggettiva difficoltà che ha gravato su tutto il mondo del teatro. Noto che negli spettacoli in circolazione in questi ultimi due anni, c’è meno creatività. Come se la pandemia avesse influito in maniera negativa sulla capacità di realizzare proposte di un certo livello”.
Non trova che l’Estate teatrale veronese abbia rinunciato alla sua identità, mettendo in scena molte delle produzioni del Teatro Stabile del Veneto?
“Io ho sempre avuto un rapporto con il Teatro Stabile del Veneto, perché mi sembrava giusto, essendo nella stessa regione, instaurare una buona collaborazione. Ma ero io a decidere se realizzare qualcosa con il Teatro Stabile del Veneto, o ad accettare una loro produzione. Insomma c’era un rapporto paritario: è questa, secondo me, la strada giusta. Avere una collaborazione con un Teatro Stabile come quello del Veneto va bene, ma dev’essere una collaborazione che porta vantaggio a tutti e due”.
L’Estate teatrale veronese può permettersi ancora produzioni autonome?
“I primi anni si facevano addirittura produzioni finanziate totalmente dal Comune di Verona. Poi, con il passare degli anni, i problemi economici dei Comuni sono aumentati e quindi non è stato più possibile. Il mio lavoro, sempre più difficile, è stato quello di riuscire a trovare dei partner per produrre insieme gli spettacoli, che naturalmente dovevano partire in prima nazionale da Verona, e poi avevano una loro autonoma tournée durante l’inverno”.
Nei 45 anni alla guida del Festival Shakespeariano di quale spettacolo va più fiero?
“Della Tempesta, in scena al Giardino Giusti con la regia di Peter Brook, il più grande regista shakespeariano di tutti i tempi. Ho lavorato come un pazzo, ma in assoluto è lo spettacolo più bello che è andato in scena. E poi una storica e indimenticabile edizione della Bisbetica domata con Franco Branciaroli e Mariangela Melato: 12 repliche tutte di fila e tutte esaurite in prevendita. Un record storico mai eguagliato”.
Qual è stato il miglior assessore alla Cultura con cui ha lavorato?
“Forse Maurizio Pulica. Con lui mi sono trovato bene perché ha sempre accettato le mie proposte. A partire dalla rassegna invernale del Grande Teatro, che ho gestito per 33 anni. A Verona si faceva teatro in estate e poi in inverno non c’era quasi nulla. Ho detto a Pulica che, secondo me, il Comune doveva intervenire con una sua rassegna di teatro per l’inverno. Ebbe il coraggio di approvare l’idea immediatamente. Con lui c’è stato un rapporto di fiducia straordinario, che a volte è difficile avere”.
E il peggiore?
“Il peggiore non si può dire, perché da parte mia sarebbe poco rispettoso. Nei confronti delle istituzioni ho sempre avuto un atteggiamento di grande rispetto. E un assessore per me è un’istituzione”.
Negli anni Novanta le chiesero ripetutamente di fare il Sovrintendente dell’Ente lirico. Si pente di aver rifiutato?
“No, nella maniera più assoluta. Ci ho pensato due mesi, poi ho rifiutato. Consideravo l’ambiente dell’Ente lirico troppo faticoso da gestire per le problematiche, i sindacati, gli scioperi. Ho preferito restare nel mio “piccolo” Teatro Romano a condurre il mio Festival. Al mio posto poi andò proprio Maurizio Pulica. Ci rimase solo un anno”.
E di aver sacrificato per 45 anni le ferie estive, si pente?
“Moltissimo. Perché insieme a me ho sacrificato anche la mia famiglia. Fino a tre anni fa non sapevo cosa vuol dire fare una vacanza nel pieno dell’estate. Per 45 anni ho passato le mie estati al Teatro Romano: una specie di reclusione, come agli arresti domiciliari. Anzi, teatrali. Adesso mi sto accorgendo quanto è bello fare un mese di ferie in estate”.
Che consigli darebbe al suo successore Carlo Mangolini?
“Oggi le cose sono molto più difficili di quando le gestivo io. L’unico suggerimento è quello di fare ogni sforzo possibile per portare al Teatro Romano quelle compagnie di prestigio, che possano mantenere a livelli elevati la storia del Festival Shakespeariano”
Rossella Lazzarini