Una vita con i Classici: intervista a Stefano Quaglia Il professore, che è stato per anni docente di latino e greco, sostiene da sempre che quando ti misuri su un brano di queste lingue, sei costretto a pensare che sei tu che non capisci, non il testo che non ha significato. “Che è il dramma della tecnologia”

Rapporto scuola-famiglia incrinato

I genitori tengono di più alle attività pomeridiane che alla scuola. Ragazzi stressati

La chiusura delle iscrizioni alle scuole statali, il 10 febbraio, ha segnalato un dato preoccupante: il calo delle iscrizioni nel Veronese, con il dato provvisorio delle paritarie, sfiora le 3 mila unità. Anche se il calo demografico è solo uno dei tanti problemi della scuola. Ne parliamo con il professor Stefano Quaglia, classe 1956, docente di materie letterarie, latino e greco al liceo classico, dirigente Tecnico e Amministrativo presso l’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Verona dal 2013 al 2018 e, contemporaneamente, responsabile di UCRIDA – Veneto (Unità di Coordinamento Regionale per l’Istruzione degli Adulti). Attualmente è preside dell’Istituto Paritario “Lavinia Mondin” di Verona.
Professor Quaglia, vista la sua grande esperienza, cosa si dovrebbe fare per migliorare la scuola?
“Sottrarre la scuola alla politica e istituire un’Authority fatta di persone colte e tecnicamente competenti, che possa disporre del 5 per cento del bilancio dello Stato per le necessità educative. Sottrarre la scuola alla politica significa farla approdare a una progettazione di lungo periodo e di lettura sociologica. Perché la scuola non è più pedagogia, ma è sociologia della conoscenza. Invece abbiamo un’organizzazione del sistema scolastico che è ancora quella degli inizi del Novecento. Una struttura a letto di Procuste”.
Scusi l’ignoranza, Procuste chi era?
“Un brigante dell’antica Grecia, che misurava sul proprio letto le persone che catturava: se erano troppo corti li tirava, se erano lunghi tagliava loro le gambe. La scuola è così: tutti devono stare in questo sistema di classe. Invece bisogna arrivare a diversificare a canne d’organo: uno studente va avanti nelle materie, fin dove riesce. E si certifica il suo livello, come nella competenza linguistica. Quindi per iscriversi a certe facoltà, bisogna avere il livello necessario”.
La situazione della scuola è critica: siamo vicini a un punto di rottura?
“La scuola è sempre stata una fase critica, perché percepisce per prima i salti generazionali e i cambi di mentalità e di stili di vita. Non mi allarmerei. Chi è nella scuola sa che i cambiamenti sono naturali e non se ne spaventa”.Quali sono oggi i problemi più gravi della scuola?“La scuola si trova, inevitabilmente, a dover affrontare tutti i problemi del mondo giovanile, anche quelli non scolastici. Quindi il dolore giovanile, i disturbi alimentari, gli stati d’ansia, i conflitti sociali: nella scuola ci sono tutti. La scuola è una piccola società e, di conseguenza, ha tutti i problemi della società civile. Quindi bisogna guardare alla scuola in modo diverso rispetto al passato: non più in un’ottica solo educativa o pedagogica, ma in un’ottica di sociologia della conoscenza”.
Il rapporto tra scuola e famiglia si è incrinato.
“I fatti gravi che sono accaduti sono il sintomo del disagio e della difficoltà che le famiglie vivono nell’affrontare il problema educativo dei figli. Non si può pensare che la scuola sostituisca le forme di aggregazione sociale che c’erano in passato: oratori, partiti politici, associazioni. Oggi i ragazzi sono stressati perché, paradossalmente, la scuola è rimasta per loro l’unico spazio personale: sono impegnatissimi in svariate attività pomeridiane, alle quali i genitori tengono quasi più che alla scuola”.
Professore, lei ha passato una vita tra greco e latino. Ma per un giovane ha ancora senso studiare queste materie?
“Il latino e il greco non sono mai stati utili, ma la società riteneva che fossero significativi. Il problema è la forma mentis: il liceo classico è l’incontro con la complessità. Devi misurarti con qualcosa che non ti appartiene, apparentemente. Poi, la scoperta che se vai oltre la crosta, c’è qualcosa che ti arricchisce. Ma non è la lingua che ti arricchisce, è l’allenamento su quelle lingue che ti arricchisce. Quando ti misuri su un brano di latino o di greco, sei costretto a pensare che sei tu che non capisci, non il testo che non ha significato. E capisci che devi ascoltare gli altri se vuoi imparare. Altrimenti penserai sempre di avere la soluzione in tasca. Che è il dramma della tecnologia di oggi”.

Insegnare ai giovani il rispetto per gli altri

Il bullismo è la proiezione inevitabile della visione narcisistica che viviamo all’esterno

Un tempo si diceva che il liceo classico apriva la porta di qualsiasi facoltà. É ancora così?
“Lo è, se i docenti del classico sanno presentare le loro discipline non come conservazione, ma come chiave di apertura al futuro”.
Ma oggi per trovare lavoro servono le lauree Stem: science, technology, engineering, mathematics.
“Sono sempre servite per lavorare nelle aziende. Ma non sono materie per tutti. La matematica, la fisica, la chimica sono discipline difficili, che esigono una cosa fondamentale: una grande fatica di apprendimento, né più né meno del greco e del latino”.
La sua opinione sul flop del liceo del Made in Italy.
“Era prevedibile. Quando si procede con l’innovazione nella scuola, occorre una preparazione dettagliata e organica: individuare scuole, parlare con presidi, dare garanzie, incontrare genitori. Quindi bisognava aspettare almeno un anno. Il flop non deriva dalla non validità del progetto, ma dalla incapacità di farlo capire”.
Solo questo?
“Forse anche l’infelicità del titolo. Il made in Italy si ricollega alla produzione di beni, non alla produzione di cultura. E in una nazione che non ha un’identità propria, se non nella nazionale di calcio, parlare di made in Italy a livello culturale rischia di essere controproducente”.
Parliamo del bullismo, che nelle scuole è in aumento.“
Il bullismo è la proiezione inevitabile della visione narcisistica che viviamo all’esterno e che viene portata dai ragazzi dentro la scuola. Il bullismo c’è sempre stato, solo che non veniva considerato adeguatamente. Oggi abbiamo la sensibilità per farlo, quindi insegnare ai giovani il rispetto per gli altri è una delle dimensioni più importanti della realtà educativa”.
Qual è il compito dei docenti su questo versante?
“L’insegnante non è solo istruttore, è anche educatore. Quindi deve controllare i processi comunicativi interni alla classe. Che non è un compito facile. Perché i ragazzi tendono a riprodurre, nella loro società, i modelli di dominio che vedono nella società degli adulti”.
Spesso però si finge di non vedere…
“Noi presidi non dobbiamo avere paura di affrontare le responsabilità. Siamo noi che dobbiamo controllare, anche le eventuali denunce. Ma prima di andare fuori dalla scuola, dobbiamo sempre essere in grado di controllare i processi all’interno”.
Cosa direbbe ai genitori che si ritrovano un figlio bullo?
“Che non devono fare l’avvocato difensore, ma cercare un’alleanza con la scuola per condividere posizioni di responsabilità e di punizione. Negli episodi di bullismo, i genitori devono capire che il tema dei propri figli va affrontato come se fossero i figli degli altri, e i figli degli altri come se fossero i propri”.
Aumentano anche gli atti di violenza fra giovanissimi. Cosa si può fare?
“Le forme di conflittualità nascono anche da una mancanza di attività alternative. Dante cosa fa fare agli ignavi? Li fa correre dietro una bandiera. Ma oggi che bandiera diamo ai ragazzi? Io comincerei davvero a pensare al servizio civile obbligatorio: ogni ragazzo dovrebbe dedicare almeno sei mesi della sua vita al bene comune. Confrontandosi con le realtà del disagio, per capire cos’è la dimensione umana. Oggi c’è bisogno di una struttura educativa formale alternativa alla scuola, con la dimensione della pace e del rispetto verso l’altro”.

Rossella Lazzarini