Matilde Motta è nata a Suzzara negli anni cinquanta, dove ha conseguito il diploma magistrale per poi intraprendere la carriera di insegnante, iniziando nel bresciano per poi spostarsi nel mantovano fino alla pensione. Laureata all’ università di Verona nel 2004 in scienze dell’educazione con la tesi “L’olocausto tra interpretazione storica e rappresentazione cinematografica”, nel 2021 ha pubblicato il libro “Minimalia” e nel novembre di due anni dopo “I due nomi”, entrambi distribuiti dalla casa editrice “Il Rio”.
Ma proviamo a conoscerla meglio attraverso questo incontro così poetico e profondo, in ogni risposta data dall’autrice.
Cos’altro possiamo dire di Matilde Motta donna?
«La relativa serenità del mio presente è una dura conquista ottenuta nel tempo. Oltre la scrittura, iniziata solo dal 2021, dedico molto tempo alla pittura perché le ritengo le mie attività più liberatrici. Come donna, mi definisco fragilmente forte.»
Una vita, quella sua, dedicata all’insegnamento: cosa si porta dentro di questo importantissimo mestiere, che poi è una missione vera e propria?
«Del lavoro nella mia vita porto l’attrazione per l’intelligenza e per i doni particolari di ciascun bambino e adulto, per la struttura di ciascun mondo interiore e delle variabili che l’hanno determinato e, soprattutto, come relazionarmi in modo costruttivo.»
Nel 2021 ha dato libero sfogo alla sua passione per la scrittura pubblicando il testo MINIMALIA. Di cosa si tratta?
«Minimalia è nato dalla costrizione fra le mura domestiche nel periodo del COVID. Lo pensavo adatto dalla preadolescenza in poi. Scrissi una quindicina di racconti su vicende reali tra animali e umani.»
Il perché del tema del rispetto tra mondo animale e umano?
«Il rapporto tra animali e umani è di continuità, non di dominio e sopraffazione. Non sopporto il pensiero e la visione di come sono trattati gli animali soprattutto in certi allevamenti intensivi. Sono nata in campagna e il mio rapporto con il mondo naturale e i suoi viventi, la bellezza che invadeva, sono stati la mia salvezza.»
Nel 2023 trova spazio nelle librerie anche il suo secondo lavoro “I due nomi”, di chiaro stampo autobiografico, giusto?
«”I due nomi” è di stampo autobiografico, e fa riferimento al mio nome ufficiale Matilde, e a quello con cui mi chiamavano mamma e gli altri: Marta, a ricordo di una sorellina tragicamente scomparsa.»
Racconto biografico, poesie e brani in dialetto; il perché di questo suo lavoro?
«Quasi in ogni capitolo ho raccontato fatti ed episodi relativi alla mia infanzia o di famiglia, accostandovi brani con punti di visti di altri protagonisti che si esprimevano soprattutto in dialetto. Le poesie invece rappresentano l’espressione di miei sentimenti ed emozioni che vanno oltre il dolore, il desiderio e la speranza che la bellezza delle parole sia il mezzo per volare più alto.»
Cos’è per lei la scrittura creativa?
«Ciò che so della scrittura è la prosecuzione degli insegnamenti, delle riflessioni e del disvelamento delle tecniche che attuavo con i miei alunni. Da una parte la ricerca dell’ espressività nei testi, dall’ altra la costruzione logica. La creatività è anche nella matematica come scoperta possibile e personale delle regole. La scrittura creativa, al di là di tecniche varie e scelte narrative specifiche, è VERITÀ da indagare nella propria profondità.»
Perché dovremmo leggere I DUE NOMI?
«La lettura de “i due nomi” tocca diverse sensibilità. Chi si ferma al dolore e alla sofferenza può sentirsi troppo colpito perché, magari, ha vissuto esperienze personali che preferisce non far riemergere. Chi si affida alla struttura del testo e il linguaggio usato, comprende e sente la mia aspirazione ad un cielo diverso e il vivere un’ esperienza di speranza, di poetica catarsi.»
Gianfranco Iovino