Un artista che ha dedicato la sua vita all’arte, spaziando dalla realizzazione di fumetti ai manifesti per film con attori come Rock Hudson, Jerry Lewis e William Holden. Questi e molti altri traguardi professionali hanno coronato la vita artistica di Sergio Sorgini, il pittore nato in Italia nel 1934 che ha vissuto per anni a Verona, scomparso un anno fa. Ed è proprio per omaggiarlo che fino al 10 aprile nella Galleria civica G.B. Bosio in piazza Malvezzi a Desenzano del Garda è stata organizzata una mostra dal titolo “Archeologia dell’anima. Dal manifesto cinematografico all’arte pura 1950-2021’’ a cura di Leonardo Guardalben: biografo, proprietario e conservatore del fondo “Maestro Sergio Sorgini’’. Sergio Sorgini inizia giovanissimo come fumettista, illustrando circa 30 racconti per “il Vittorioso’’, “il Giornalino e “l’Intrepido’’, seguendo le orme del fratello Gino. Ma a lui questo non basta. Roma negli anni ’50 e ’60 è una sede importante per la produzione di film e molte case cinematografiche americane la scelgono come sede. Ed è proprio qui che Sorgini inizia a farsi conoscere presentando il suo primo bozzetto per il film “Il villaggio più pazzo del mondo’’. Da questo momento anche altre case cinematografiche iniziano a commissionargli importanti lavori. In questo ambiente ricco di stimoli artistici conosce Guttuso, De Chirico, lo scultore Fazzini e lo zio Umberto Mastroianni. Sergio però non vuole accettare favoritismi, ma farcela da solo, con le sue capacità e la sua inventiva, per questo si traferisce a Brescia dove diventa illustratore di libri per ragazzi della Casa Editrice “La Scuola’’. Per caso capita a Verona. I padri comboniani, infatti, lo contattano per illustrare la loro rivista “Nigrizia’’ e Sergio, fermandosi su Ponte Pietra e ammirando la città se ne innamora e vi si stabilisce. La caratteristica che ha accompagnato la sua vita professionale è stata quella di non seguire una corrente artistica specifica, ma anzi di essere lui stesso anticipatore di differenti stili come quello della pop art e della transavanguardia. L’unico modello a cui guardava era quello di Francesco d’Assisi a cui si è sempre sentito affine per valori e umanità. La sua mente non ha mai dimenticato gli orrori della Seconda Guerra Mondiale per questo il tema ricorrente nelle sue opere “punta a riassumere e rispondere alla drammaticità di talune condizioni dell’essere umano che a tutt’oggi lo coinvolgono’’, riferendosi in particolar modo “a quella follia malvagia che da sempre si consuma, alla cattiveria senza senso che da sempre viene perpetrata e che trova estrema drammaticità nell’assoluta mancanza di pietas’’. Per questo le sue sculture si presentano come esseri lacerati e sgualciti, “violentati nelle forma da questa società in cui vivo’’. La sua arte non si riduce però ad una visione pessimistica e negativa della realtà che lo circonda, ma cerca anche di guardare al futuro raccontando storie di chi si batte per i propri valori etici e morali e di cui non si parla mai.
Francesca Brunelli