Precisiamo subito una cosa, tanto per mettere i puntini sulle i. Formazione a distanza, la chiamano. Pfui, direbbe Paperino. A distanza ddeche? Ti si scaraventa letteralmente addosso con la forza d’impatto di un tir in contromano in autostrada.
Va considerato, a onor del vero, che io ho 3 figlie di cui curare questa istruzione “distanziata” (virgolette quanto mai d’obbligo, per motivi di cui sopra) e quindi la cascata di file quotidiani che precipitano dal pc va moltiplicata appunto per 3, per 6 insegnanti l’una: fate un po’ voi.
La quarta figlia, all’alba dei 13 anni, è abbandonata per cause di forza maggiore al suo destino digitale… dovendo seguire le lezioni on line in diretta coi prof ogni mattina, è blindata nella sua cameretta per non subire voci e rumori molesti delle sorelle nonché per svolgere i compiti pomeridiani: praticamente, non la vedo da mesi.
Posso constatarne le buone condizioni psico-fisiche, fortunatamente, quando mi intrufolo un paio di volte al giorno per allungarle fugacemente una merenda “da vie laterali”, con lei che – sguardo fisso allo schermo – minaccia sibilando a denti stretti: “mmma, mtti lì! E nn frti vdre! E chiudi la prta, c di là ft un casino!”.
Povera, un po’ ha ragione. Perché le sorelle – indenni data l’età da scuola primaria alle video lezioni, grazie a Dio almeno questo – approfittano dell’anarchia scolastica per improvvisare campionati mondiali di ginnastica artistica, volley e tennis indoor (molto “in” date le dimensioni esigue del nostro salotto), lanciando oggetti più o meno sportivi nonchè urla animalesche.
Fino al mio immancabile, altrettanto selvaggio, richiamo: “Ragazzeee, ci sono compiti!!”. Ancorata al pc, clicco indemoniata entrando e uscendo compulsivamente dai 3 diversi account, con tanto di relative credenziali, scaricando migliaia di file pdf, word, audio (e fantomatici odt che non si aprono mai: ma che cavolo di formato è, qualcuno me lo spiega??) e stampando vagonate di fogli.
Ogni tanto la stampante si blocca, dichiarando un presunto esaurimento di carta, che spesso si rivela fasullo: comincio fortemente a sospettare che sia una simulazione, che l’esaurita sia lei, la stampante, che indice uno sciopero contro tale intollerabile sfruttamento. E la capisco, eh.
Intanto clicco e riclicco sul tasto “visualizza compito” (parliamone: dovrebbero chiamarlo “visualizza se ci riesci” perché per decifrare i caratteri delle consegne bisogna zoomare come ossessi), per altro sadicamente collocato a 2 millimetri dal comando “clicca qui per consegnare il compito”: una vicinanza inquietante che incute ansia da prestazione.
Così come mette soggezione il rosso scarlatto dei tasti “compiti ancora da svolgere” che poi, quando finalmente saranno consegnati, si tramuta magicamente in un rassicurante blu oltremare (quasi sempre: a volte, per qualche inspiegabile problema tecnico, la magia non avviene, scatenando le furie da mamma-psicotica-in-quarantena che clicca ossessivamente mandando a quel paese piattaforma, pc, mondo high-tech e pure il Ministro, con allarme delle figlie che cominciano ad ipotizzare di chiamare un esorcista).
Eh già perché la tecnologia mica è una scienza esatta, si sa: si incricca pure quella, mica solo il sistema nervoso delle mamme forzate all’ home-schooling. Un esempio ne è il “piccolo” intoppo in cui è incorsa la piattaforma qualche giorno fa, quando è stata sottoposta ad una manutenzione straordinaria “per far migrare i dati verso un altro server”: peccato che i dati fossero migrati alla cavolo, di qua e di là, così che ci siamo ritrovate nei nostri account i compiti di figli altrui, con un bel vaff. al garante della privacy.
Per non parlare delle foto dei compiti svolti, da caricare tramite un povero smartphone, che a fine giornata raggiunge livelli di temperatura da fusione del piombo, con la memoria a un passo dal tilt totale. A proposito di telefono: le chat delle varie classi ve le lascio immaginare (meriterebbero un intero capitolo), accennandovi soltanto un delirio incessante di “non vedo, non leggo, non sento, non scarico, non apro, non riesco, non capisco” intervallati da improperi e termini totalmente incuranti del galateo di whatsapp.
Però dai, non è tutto negativo. Non si riduce tutto soltanto a un freddo, arido e asettico sistema virtuale. Perché “di là” ci sono le maestre. Tenerissime. Sì, anche se impazzite.
Sarà il prolungato distacco dai loro alunni, che dopo la comprensibile euforia iniziale, si è via via trasformato in un’incolmabile nostalgia. Non mi spiego in altro modo messaggi audio infiniti, e ok se fossero solo spiegazioni di percentuali, tempi verbali, moltiplicazioni coi decimali, e poi Ittiti e Uomo Erectus, clima della pianura e come funziona l’occhio. No, perché ci sono anche audio-barzellette, canzoni stonate e persino video saluti dalle immagini offuscate con tanto di domande “mi vedete, mi riconoscete? Sono la maestra!” . Per culminare in un balletto. Sì, giuro. E non era neanche la maestra di educazione motoria (che comunque ha la sua bella casellina digitale, eh, che vi credete? Prima o poi scaturirà una consegna anche da lì, ne sono certa).
E allora tra i mille più importanti motivi per agognare la fine di questa emergenza, ce n’è uno piccolo piccolo che accomuna mamme e corpo insegnante allo stremo, uniti come non mai in un appello: “Ridateci la formazione, quella vera: a distanza di un metro, per favore non di più”.
V.T.