1:23 di notte. Una bomba esplode nella quinta carrozza del treno. Dodici vittime e quarantotto feriti. È quello che successe tra il 3 e il 4 agosto 1974 sul treno espresso 1486 (“Italicus”), mentre transitava presso San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, diretto a Monaco di Baviera. L’attentato terroristico è considerato uno dei più gravi verificatisi in quegli anni, ed è ricordato anche perché gli esecutori, neofascisti italiani, furono incriminati ma poi assolti. Secondo la figlia di Aldo Moro, avrebbe dovuto essere presente anche lui sul treno, però all’ultimo scese per firmare alcuni documenti. Ma come andarono le cose nello specifico? L’ordigno esplosivo era stato collocato in una valigetta nascosta nella quinta carrozza del treno, collegato a una sveglia. Quando il veicolo avesse attraversato la Grande galleria dell’Appennino, la bomba avrebbe dovuto esplodere. Tuttavia, a causa di alcuni minuti di ritardo, l’esplosione avvenne più vicino all’uscita della galleria. Se tutto fosse avvenuto secondo i piani, i morti avrebbero potuto essere un centinaio.
«Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti.»
Questo il messaggio che fu ritrovato ad agosto dello stesso anno, in una cabina telefonica a Bologna. Firmato, Ordine Nero. Dopo il volantino, seguirono telefonate anonime al giornale Resto del Carlino, con toni minacciosi. Fu subito individuato l’autore delle intimazioni: tale Italo Bono, appartenente all’estrema destra di Bologna, e con problemi psichici. La faccenda si infittì, quando la titolare di una ricevitoria del Lotto a Roma affermò di avere ascoltato una telefonata fatta da una ragazza nel suo locale, riguardante un attentato in preparazione. La ragazza era una collaboratrice del Sid e lavorava in un ufficio del Servizio segreto. Questa, interrogata, non negò di aver telefonato, ma di aver parlato di bombe. Sembra però che la sua versione non sia stata proprio attendibile, e fu rinviata a giudizio per falsa testimonianza.
L’atto di eroismo di un ferroviere
Cinquant’anni dopo l’esplosione della bomba “Italicus”, viene ancora ricordato l’atto di eroismo di un ferroviere, Silver Sirotti, poi insignito di Medaglia d’oro al valor civile alla memoria. Sirotti, con l’aiuto di un estintore, si lanciò tra le fiamme per soccorrere i viaggiatori intrappolati nel treno, e in questo tentativo perse la vita.
punto di vista culturale, la strage è stata ripresa dal cantautore Claudio Lolli, che nel 1976 scrisse due canzoni: Agosto e Piazza. Da Alessandro Quadretti e Domenico Guzzo con il documentario 4 agosto ’74. Italicus, la strage dimenticata, e dal film Strane storie – Racconti di fine secolo.
I colpevoli? Condannati, assolti…Mah
Arrivò dicembre 1975, e con l’inverno una pista d’indagine importante: tre detenuti (Aurelio Fianchini, Felice D’Alessandro e Luciano Franci) evasero dalla Casa circondariale di Arezzo. L’obiettivo, portare Franci davanti alla stampa per farlo confessare come colpevole della strage. In cambio Franci, estremista al momento in carcere per l’attentato ferroviario del 6 gennaio 1975 a Terontola, avrebbe avuto l’appoggio per espatriare. Durante la fuga però Franci ci ripensò, avendo forse capito che l’espatrio non sarebbe riuscito. Fianchini e D’Alessandro si presentarono così da soli davanti alla redazione del periodico Epoca, rilasciando dichiarazioni sulle confidenze ricevute. D’Alessandro, su cui pendeva reato grave, decise poi di non costituirsi, mentre Fianchini mise a verbale le sue dichiarazioni alla Questura di Roma.
«Franci mi ha confidato che l’attentato al treno Italicus fu opera del Fronte Nazionale Rivoluzionario. L’attentato fu eseguito per creare il caos nel paese e favorire l’attuazione di un successivo colpo di stato. Oggi mi sono costituito perché è venuto meno il motivo per cui sono evaso».
I colpevoli furono ricondotti ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana, e alla loggia massonica P2, che contribuì a far avverare la strage. Ma non avendo prove certe, furono tutti assolti. Iscritti alla P2, ammiragli, colonnelli e altre figure di rilievo della forza armata. Arrivò la prima sentenza d’appello, dicembre 1986. Due delle assoluzioni del processo di primo grado vennero annullate, condannando i due imputati Mario Tuti e Luciano Franci alla pena dell’ergastolo come esecutori della strage. L’anno dopo, con la prima sentenza di Cassazione, i due accusati furono nuovamente assolti. Dal 2014, tutti i fascicoli su questa strage non sono più coperti dal segreto di Stato e sono perciò liberamente consultabili da tutti. In questo materiale sono stati trovati elementi di indagine non sviluppati e mai analizzati dai magistrati inquirenti. Non si trovano nemmeno tracce delle indagini all’epoca svolte dai Carabinieri e dalle Forze dell’Ordine, che sappiamo svolte e che potrebbero essere state significative.
Beatrice Castion