Un punto d’oro. Il Verona con la Lazio conquista un pareggio insperato, mettendo in mostra cuore, carattere, determinazione. Un risultato importante che dà continuità di risultati alla squadra imbattuta così da tre turni e non accadeva di fatto dalla prime due gare di campionato. C’è da essere contenti. Perchè i gialloblù nella lotta salvezza possono sfoderare un paio di armi fondamentali.
La squadra ama la lotta, si esalta nelle difficoltà. Quando contro l’undici di Sarri l’Hellas è rimasto in dieci per l’espulsione di Duda, i giocatori in campo hanno moltiplicato gli sforzi, mettendoci una grinta eccezionale. Alcuni giocatori, in particolare, si esaltano in simili condizioni, l’esempio di Amione è emblematico. Nel dna di una squadra votata ad un traguardo come la salvezza questa è una qualità imprescindibile, fondamentale. Baroni è stato bravo nel motivare la squadra, nell’esaltare l’importanza di ogni elemento.
Squadra con la bava alla bocca, dunque. Esaltata poi da uno stadio che può essere davvero l’uomo in più. Per carità il Bentegodi festeggiava i 60 anni di esistenza, la società aveva applicato dei prezzi popolari ma in un sabato di dicembre, in un pomeriggio davvero freddo, vedere oltre 28 mila tifosi sostenere senza soste il Verona è stato quasi commovente. Una spinta continua, un pubblico che ha letteralmente giocato con la squadra.
Anche questa è un’arma importante, la società potrebbe fare un ulteriore sforzo e chiamare a raccolta nuovamente i tifosi nelle due gare casalinghe attorno alle quali ruota la stagione dell’Hellas, le prossime interne contro Cagliari e Salernitana. Sin qui gli aspetti positivi. Ma tra le luci ci sono anche le ombre. E non sono poche. Il Verona è riuscito nell’impresa di portare a casa un punto contro la Lazio non tirando, di fatto, mai in porta. Inutile negarlo, Sarri ha ragione quando nel post partita dichiara “siamo riusciti a prendere un gol da un cross sbagliato e da un tiro che finiva in fallo laterale”. Ma su quella palla calciata male da Suslov ecco l’uomo della Provvidenza gialloblù, Thomas Henry, una sorta di araba fenice, capace di metterla dentro con…gli attributi.
Consoliamoci e facciamo affidamento su quelli, perchè di gioco questo Verona, anche quello nuovo tatticamente con la difesa a quattro, non ne ha minimamente. La palla lunga su Djuric è di facile lettura, geometrie non se ne vedono, la difficoltà di manovra è palese. Per salvarsi la “garra” per dirla all’argentina, è indubbiamente una qualità. Ma non dimentichiamoci che si parla di calcio e bisognerebbe magari anche provare a giocarlo. Tocca a Baroni far fare alla squadra l’ulteriore step. Gli attributi da soli non bastano.
Mauro Baroncini