The Whale – TOP
Nel 2017 aveva scosso intere platee di addetti ai lavori con il grottesco horror simbolista Mother!, oggi torna in concorso alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia con uno dei film più strazianti e intensi visti finora. Stiamo parlando del regista statunitense Darren Aronofsky e del suo The Whale, film tratto dall’omonima pièce teatrale di Sam Hunter e interpretato da un enorme – in tutti i sensi – Brendan Fraser. Il suo personaggio prende il nome di Charlie, docente di letteratura inglese a distanza affetto da grave obesità e incapace di riprendersi dalla morte del suo amante, avvenuta molti anni prima in circostanze misteriose. Quando l’uomo decide di riprendere i contatti con la figlia adolescente abbandonata anni prima, il già fragile equilibrio della sua psiche inizia a tentennare pericolosamente…
Girato interamente dentro un’unica stanza e costruito intorno alla mostruosa interpretazione dell’attore principale, The Whale è il film che segna la maturità emotiva del regista americano,
sviluppandosi come un racconto mirato a scandagliare pieghe, imperfezioni e sofferenze dell’animo e del cuore dell’uomo. Se il genere individuato è quello del dramma psicologico, l’opera
di Aronofsky si declina in mille sfaccettature con l’avanzare dei minuti, trasformandosi in un film-
matrioska capace di trattare temi come la paternità, la morte, la solitudine, la malattia e – sopra tutti – l’amore incondizionato verso gli altri. Ci sbilanciamo: miglior film in concorso finora e potenziale Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Brendan Fraser.
Bones and all – FLOP
Ci vuole furbizia e occhio lungo per essere Luca Guadagnino. Nel suo film in concorso quest’anno
dal titolo Bones and all c’è tutto e anche di più di ciò che è necessario per trasformare un film di
poca sostanza in un fenomeno di portata internazionale: Timothée Chalamet -idolo delle folle sul red carpet e sullo schermo – interpreta Lee, un giovane vagabondo ai margini della società che incappa casualmente in Maren (Taylor Russell), diciottenne della sua stessa pasta con la quale intraprende un viaggio per gli stati più violenti e disagiati del sud degli U.S.A. Sembrerebbe la
trama di una banale storia di formazione, e invece la particolarità dei protagonisti sta in un fatto tanto semplice quanto inquietante: i due fanno infatti parte di una comunità di uomini cannibali che vivono una vita in ombra, miseria e solitudine cercando di sopravvivere ai loro stessi istinti.
L’unione – anche amorosa – di questi due personaggi regge l’intero racconto, che nonostante la crudezza e la reiterata violenza risulta piuttosto freddo, di scarsa profondità e alquanto vago negli scopi. Che la passione per la carne umana sia una metafora atta a simboleggiare quella tipica
sensazione adolescenziale di incomprensione e inadeguatezza è abbastanza lampante, che ci sia
stato bisogno di tirar fuori un’idea così scioccante per raccontare un tema trito e ritrito non fa ben sperare per i futuri lavori del regista italiano più celebrato all’estero. Ma anche questa è questione di furbizia…
Maria Letizia Cilea