Un professore ci scrive. “E volete mandarmi in pensione?” Una bellissima lettera: amore per la scuola, i ragazzi, il lavoro come una missione

“Come stanno vivendo i ragazzi questa situazione drammatica? Da un mese ho contatti quotidiani con i miei studenti di 14 – 16 anni, e ne ho sentite tante. Voglio condividere qualche pensiero, senza la pretesa di esaurire tutte le reazioni. Tutti sono preoccupati, non vedono l’ora di uscire di casa, hanno addirittura nostalgia del tempo passato fra i banchi.
Però chiariamo che spesso le maggiori difficoltà le incontrano alcuni fra i ragazzi stranieri che ormai sono parte importante delle nostre classi, spesso con passione, impegno e ottimi risultati. Eppure in questa situazione sono evidenti le differenze nelle condizioni di partenza: alcuni non hanno il computer, molti non hanno una connessione internet da casa e si devono arrangiare con lo smartphone. Ma non sono attrezzati per affrontare la didattica a distanza: i giga finiscono presto e le videolezioni ne consumano tanti.
Un ragazzo di seconda, B., mi diceva di aver consumato i giga della sua scheda, e stava usando quelli del fratello per comunicare via whatsapp, ma non poteva partecipare alle videolezioni; S. mi diceva che suo padre stava girando per i negozi nel tentativo di cambiarle il contratto, ampliando la disponibilità ad inviare e ricevere dati, ma si trovava in grave difficoltà. Promettono che presto risolveranno i problemi. Forse. Ma intanto rimangono indietro. Altri ancora sono del tutto irreperibili, non partecipano alle attività didattiche e non inviano alcun feedback.

E mi ritorna alla memoria la frase di “Lettera a una professoressa” stampata all’inizio del sentiero della Costituzione che conduce alla Scuola di Barbiana: “non c’è cosa più ingiusta che far parti eguali fra diseguali”. Dovremo ricordarcene bene, noi insegnanti, quando sarà il momento della valutazione.

Poi ci sono le preoccupazioni e le paure.
J. mi ha raccontato una sua giornata: non era riuscito a dormire la notte, aveva avuto incubi e aveva dovuto comunque alzarsi presto per la videolezione delle 8, ma poi si era buttato a letto a riposare un po’; si era alzato alle 15 per l’appuntamento con me e finalmente avrebbe pranzato dopo le 16. Ci ha tenuto a farmi salutare la sua mamma, mi ha raccontato di non essere preoccupato per sé ma per il suo papà, che fa l’autotrasportatore ed è sempre in strada per consegne.
O. fa il duro, ma mi racconta che suo padre lavora nell’edilizia ed era ancora impegnato nel lavoro fuori casa, senza il quale non potrebbe mantenere la famiglia. Altri genitori lavorano in banca, o in posta, o al supermercato e i ragazzi sono preoccupati.

E non posso non pensare che tanti sono a casa senza lavoro e senza alcun ammortizzatore, né sociale né familiare: mi viene in mente la nostra vicina albanese, che lavora in diverse case del vicinato per pulizie, supporto ad anziani non autosufficienti, stiratura. Suo marito, operaio, ha fatto un ictus mesi fa ed è a casa da allora, e adesso sono a casa anche i due bambini. Come se la caveranno, se la situazione prosegue per qualche mese?
In questo quadro gli insegnanti possono fare tanto: da un lato far emergere i ragazzi dal torpore in cui finirebbero inevitabilmente rimanendo in una irreale ed angosciante condizione di vacanza perpetua (e la radice etimologica di vacanza è “vacuum”, vuoto in latino). E poi possono esprimere la vicinanza, la premura, la preoccupazione verso quel ragazzo di cui non abbiamo notizie, mostrare empatia e solidarietà. Uno dei “compiti” svolti che più mi ha commosso è quello di A., un ragazzino di prima, che nel valutare le modalità di lavoro svolte mi ha ringraziato perché ha percepito che io penso a ciascuno di loro non solo come studenti ma come persone.
E da vecchio romantico mi ha emozionato il messaggio di una ragazza, A. pure lei, che mi ha inviato il ringraziamento per esserci per loro, perché “l’amore che ha lei per l’insegnamento è qualcosa di bellissimo”.
E sono veramente orgoglioso di un altro messaggio: un ragazzo mi racconta che suo padre è un volontario di protezione civile, e in questi tempi è molto impegnato nel delicatissimo compito di decontaminazione degli ospedali. Ma ha trovato il tempo di leggere i messaggi che indirizzo alla classe e ha detto al figlio che “Apprezza molto la sua sensibilità e quando sarà finito tutto ciò sarà felice di incontrarla per stringerle la mano”.
E voi volete mandarmi in pensione?

Marco Menin