Il primo prete in Italia nominato Garante dei Detenuti. Anche se don Carlo Vinco, nato a Bosco Chiesanuova nel maggio del ‘53, dalla parte degli ultimi c’è stato ben prima della nomina da parte del Consiglio comunale. Liceo classico al Maffei, laurea in psicologia a Padova, don Vinco è stato parroco al Tempio Votivo, a San Tomaso e, ora, a due passi dalla Bra, a San Luca. Si è schierato a fianco dei malati di Aids (associazione Il Cireneo) e dei Rom (nel 2005 ha ospitato in chiesa 15 famiglie sfrattate, a rischio espulsione). É stato presidente della Pia Opera Ciccarelli, designato dall’allora Vescovo padre Flavio Roberto Carraro.
Don Vinco, che città è Verona? “Per chi abita in centro come me, è una città bellissima. Sono stato parroco a Veronetta per 12 anni, nel periodo in cui c’è stata la trasformazione di piazza Isolo: da piazza delle corriere, come si diceva, era diventata luogo di degrado particolarmente significativo, prima di essere riqualificata. Piazza Isolo per me è stata un simbolo di come leggere la città: bella, con grandi potenzialità, ma che può facilmente slittare, in certe sue componenti, verso situazioni di degrado e di non amministrazione”.
Verona è cambiata dopo il Covid? “In questi anni la città è cambiata moltissimo. Il Covid ci ha fatto capire che siamo pochi veronesi in città, e che il centro è abitato solo da turisti. Non è più la città dei veronesi: è una città di turisti”.
Resta una città solidale come da tradizione? “É la gente veronese a essere buona e solidale. Il Covid aveva messo molto in crisi la dimensione religiosa, ma negli ultimi tempi c’è una dimensione più purificata, sia a livello di ricerca di valori, sia a livello di attenzione al sociale. Forse c’è meno, ma di maggiore qualità”.
Il disagio dei giovani è in aumento… “Quando incontro giovani, normalmente incontro bellissime persone: colti, aperti al mondo, attenti ai valori e al rispetto per gli altri. É vero che c’è anche un disagio, secondo me di due tipi. Il più evidente è quello espresso dalla seconda generazione di stranieri arrivati qui, per i quali l’integrazione non c’è ancora: è un disagio che si esprime con modi sfacciati, arroganti, talvolta con la violenza, nel tentativo di guadagnarsi un territorio. In carcere c’è stato un aumento, in questi ultimi tempi, di giovani fra i 18 e i 20 anni”.
E l’altra forma di disagio? “É quella determinata dal Covid, ma anche dalla guerra, che i giovani si sentono sulla testa come minaccia incombente. É un disagio psicologico, forse più nascosto, ma molto diffuso: me lo raccontano tantissimi genitori, molto preoccupati”.
Torniamo al suo ultimo incarico: un prete-garante è una novità… “Quando ho assunto l’incarico avevo qualche dubbio che il mio essere prete potesse rappresentare una difficoltà: la maggioranza delle persone detenute a Montorio non sono cattoliche, quindi pensavo che potessero vedere il garante-prete con imbarazzo. Invece non è stato così, anzi. Nelle persone di fede islamica c’è un rapporto con il ministro di culto, qualunque sia, di grande rispetto e stima. C’è fiducia. Il concetto è: un prete non può imbrogliarmi! “.
L’essere anche prete può favorire la relazione con il territorio? “Certo. La mia storia, oltre che la mia età, aiutano a creare un rapporto positivo con il territorio veronese. Anche se, pur essendosi smosse alcune attenzioni negli ultimi mesi, il problema del carcere resta marginale nella nostra vita sociale. Bisognerebbe riuscire a fare molto di più con il territorio”.
L’arrivo del nuovo Vescovo potrà incentivare l’attenzione verso il carcere? “Il nuovo Vescovo è già entrato in carcere più volte e ha avuto un contatto immediato, ma anche molto profondo, con i detenuti. Credo che possa essere un aiuto e uno stimolo importante, sia per la dimensione sociale della città, sia per la specificità delle problematiche del carcere”. (rl)