Un po’ architetti e un po’ “sarti”. Matteo Faustini e Alberto Vignolo parlano della Rotonda Per i due professionisti lo sforzo che le amministrazioni devono fare per disegnare la città con mano felice è quello di cucire e legare i diversi processi urbanistici

É l’opera architettonica più importante, e anche più discussa, della recente storia urbana veronese. L’edificio simbolo della Zai storica: la Stazione Frigorifera Specializzata, detta la Rotonda. Inaugurata nel 1930, era l’avveniristico edificio-macchina progettato dall’ingegner Pio Beccherle a servizio del commercio ortofrutticolo. Dismessa nel 1982 e abbandonata al degrado, presidio culturale di Interzona dal ‘93 al 2016, vincolata dalla Soprintendenza come bene di archeologia industriale nel 1999, dopo un lungo percorso amministrativo e un cambio di proprietà (dal Comune a Fondazione Cariverona nel 2002), è stata riqualificata con un progetto firmato dall’archistar Mario Botta. Dalla fine dello scorso anno ospita Eataly. Ne parliamo con gli architetti Matteo Faustini, presidente dell’Ordine degli Architetti di Verona e Alberto Vignolo, direttore della rivista “ArchitettiVerona”, che nell’ultimo numero ha dedicato alla Rotonda un’ampia riflessione.

Si discute molto in città sul recupero della Rotonda e anche la vostra rivista ha ospitato voci critiche.
“Tanti lamentano la mancata conservazione di ciò che è stato. D’altro canto, far rivivere un edificio nella contemporaneità ha esigenze di strutture e di impianti che hanno un peso notevole. Forse c’è nostalgia da parte di chi ha vissuto la Rotonda negli anni eroici dei concerti di Interzona, ma ora è resa fruibile a tutti dopo decenni di chiusura”.

Quindi nessuna criticità?
“Le criticità sono forse in un’operazione che non è ancora completata, perché a tutt’oggi non ha trovato nell’insieme dell’area degli ex Magazzini, e di quello che ci sta intorno, un disegno compiuto. Quello che non ha ancora trovato un compimento definitivo è proprio lo spazio pubblico, che dovrà avere il ruolo di connessione fra gli edifici, con le funzioni al loro interno che la città richiede. Oggi, di fatto, lo spazio aperto è ancora un cantiere. Quindi aspettiamo che l’intero intervento sia compiuto e valutiamolo con uno sguardo più largo”.

Per la Rotonda era stato fatto un primo progetto per trasformarla in auditorium.
“Il progetto di auditorium era molto affascinante, ma sarebbe stato molto più distruttivo dell’intervento attuale, perché avrebbe comportato uno scavo importante e uno snaturamento molto forte delle strutture, della forma e del significato della Rotonda. Ciò che è stato realizzato è conforme alla destinazione originaria dell’edificio: se entriamo ora, troviamo frutta, verdura e ortaggi. Quindi, in un certo senso, è tornata alla sua funzione originaria. E molta parte degli spazi interni sono dedicati alla promozione dell’arte contemporanea”.

Come valutate la formula di vendere opere di giovani artisti all’interno del tempio dell’enogastronomia?
“Sicuramente è una novità che va osservata con attenzione. Rappresenta un esperimento interessante che può servire a democratizzare il mondo delle gallerie d’arte, che spesso è un po’ elitario, quasi riservato a una cerchia ristretta. Questo approccio innovativo di legare l’arte al cibo può far avvicinare un pubblico più vasto. D’altro canto a Verona mancava, nonostante il ricco patrimonio di collezioni e di collezionisti, uno spazio espositivo per l’arte contemporanea”.

Arrivando dal centro, l’impressione è che l’area degli ex Magazzini manchi di una visione complessiva.
“E chi può averla oggi? Il problema è che i processi di rigenerazione urbana, che coinvolgono più parti di una città e più attori interessati, pubblici e privati, richiedono tempi lunghissimi, in cui cambiano più volte le amministrazioni. Da quando si è iniziato a parlare del recupero degli ex Magazzini sono cambiati cinque sindaci e cinque soprintendenti: e ogni passaggio lascia un segno. É questa discrasia di tempistiche che, inevitabilmente, impedisce di avere una visione complessiva. La città democratica non può essere disegnata in maniera unitaria, è fatta di sovrapposizioni e anche di contraddizioni, che solo il tempo può risolvere. L’idea di un’urbanistica a volo di uccello, che dall’alto disegna la città con mano felice e che tutti seguono, è un’utopia. Oggi lo sforzo che le amministrazioni e i diversi attori interessati devono fare è proprio quello di cucire, di legare insieme i diversi processi”. (rl)