L’utopia è l’ideale della possibilità di una situazione migliore, che può essere di natura sociale, politica, economica, personale o spirituale. Nel linguaggio comune, il termine viene usato però con una sfumatura negativa, che ne sottolinea l’irrealizzabilità: se un progetto è un’utopia, si intende dire che esso non potrà mai vedere la luce.
Il termine utopia, tuttavia, veicola un sistema di pensiero che affonda le sue radici nella storia. Esso appare per la prima volta nel titolo del celebre testo di Tommaso Moro, Utopia, come il nome di un’isola che non si sa dove sia, dove vive una civiltà governata da leggi che, a detta dell’autore, costituiscono un netto miglioramento rispetto alla condizione contemporanea inglese, particolarmente corrotta. L’etimologia greca della parola è stata interpretata in un duplice modo: per un verso, il termina potrebbe derivare da u-topia, ossia come “nessun luogo”; d’altro canto, si è anche pensato che la radice sia piuttosto eu-topia, ossia “luogo buono” o, nella fattispecie, “luogo migliore”.
La tradizione che afferisce all’utopia, ossia l’utopismo, è un atteggiamento intellettuale ed emotivo che precede di molto l’opera di Moro: tracce di essa possono essere individuate in popolazioni arcaiche, anche se uno dei primi esempi strutturati presenti nella civiltà occidentale è la costituzione statale elaborata da Platone nella sua Repubblica, che, tra le varie caratteristiche, presenta una scansione rigidamente cetuale della società, costruita in modo tale che ogni sua componente espleti al meglio il proprio ruolo. Formule di questo tipo sono presenti in varie forme: è il caso della Città del sole di Tommaso Campanella, dell’Anatomia della melanconia di Robert Burton, della Nuova Atlantide di Francesco Bacone.
Il Cinque-Seicento è il periodo di massima fioritura del genere dell’utopia, ed essa è a carattere primariamente politico-religioso.
Un problema sorge, naturalmente: l’idea avanguardistica per cui un autore interpreta il possibile miglioramento prescinde, nei casi citati, non solo dall’accettazione da parte del popolo, ma sottintende, più o meno esplicitamente, un’immutabilità di fondo della natura umana tale che è la presenza dell’individuo in contesto comunitario che viene migliorata, non la condizione dell’individuo. Pur nelle varie declinazioni che il genere assume, il miglioramento avviene tramite inquadramento, o tramite una gestione legislativa differente rispetto a quella reale. La domanda sull’uomo richiede quindi di essere posta alla base primariamente, nel momento in cui si elaborano modelli ideali, dei quali naturalmente si crede possibile la realizzabilità.
È il caso, ad esempio, della riflessione di Marx, che contestualmente all’elaborazione di un programma politico e rivoluzionario a tinte senz’altro, per certi aspetti, utopiche, elabora una nuova forma di umanesimo sulla scorta e in opposizione alle tesi di Feuerbach.
Il miglioramento è quindi senz’altro nella società, ma non prescinde e anzi, ripristina la condizione naturale dell’uomo contro il sovvertimento avvenuto tramite il predominio della borghesia capitalistica.
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