Un grido: “No queremos Olimpiadas” Nel turbolento quadro politico del Sudamerica anni ‘60, spicca la protesta messicana

Gli stati centromeridionali dell’America presentavano negli anni ’60 un quadro politico altamente instabile dovuto ai frequenti colpi di stato, che erano particolarmente aumentati in quel periodo. Solo nel triennio 1962-64 si registrarono otto colpi di stato. Nel contesto storico delle agitazioni sessantottine, furono i giovani studenti del Messico a distinguersi, con le loro insistite azioni di protesta, rispetto ai loro coetanei degli altri paesi latinoamericani. Solidali con i contestatori degli altri paesi del mondo, condividendone obiettivi e modalità di lotta, erano nel contempo fortemente motivati dalla convinzione che la XIX Olimpiade, da svolgersi in Ottobre a Città del Messico, rappresentasse una straordinaria occasione per mostrare e denunciare all’opinione pubblica mondiale la natura illiberale del regime politico imposto al paese dal presidente Gustavo Dìaz Ordaz. Moltissimi studenti, inoltre, avversavano lo svolgimento delle Olimpiadi in Messico ed erano favorevoli a una rivoluzione che portasse a un profondo cambiamento politico e sociale del paese: “No queremos Olimpiadas, queremos revolución” (Non vogliamo le Olimpiadi, vogliamo una rivoluzione).
Negli anni precedenti il 1968, Dìaz Ordaz aveva represso duramente ogni forma di protesta, promossa dalle differenti categorie dei lavoratori, non accettando in alcun modo che fosse messo in discussione il suo autoritarismo politico.
Il 22 Luglio iniziò lo scontro cruento con le forze dell’ordine: i Granaderos (il corpo speciale di polizia dei granatieri) intervennero per bloccare la manifestazione, che contrapponeva studenti affiliati all’IPN a studenti affiliati all’UNAM, e il giorno dopo irruppero nella scuola professionale, dove procedettero all’arresto di molti studenti. Il 24 Luglio, di fronte alle reazioni di protesta per gli studenti arrestati, il governo, sempre più preoccupato dai preparativi per le Olimpiadi, fece reprimere con la forza le manifestazioni provocando la morte di alcuni manifestanti. La battaglia con le forze militari si protrasse fino al 5 Agosto e terminò con dieci morti e 1.200 arresti. Un corteo di 400.000 persone, il 28-29 Agosto, sfilò davanti all’ambasciata USA e al palazzo presidenziale chiedendo le dimissioni di Dìaz Ordaz, ma sfociò anch’esso in uno scontro sanguinoso con quattro morti. Tra il 19 e il 26 Settembre si ebbero continui scontri fra i giovani dimostranti e le forze di polizia a seguito dello sgombero dell’ateneo della capitale, che era stato occupato dai Granaderos. Il rettore dell’Università della capitale si dimise per protesta e centinaia di docenti dichiararono che avrebbero fatto lo stesso se fosse continuata la repressione. A due settimane dall’inizio delle Olimpiadi, lo scontro tra il governo e i suoi oppositori si era radicalizzato e ogni soluzione politica appariva impossibile. La drastica risposta del presidente, per garantire la stabilità del suo potere e il regolare svolgimento dei Giochi, arrivò il 2 Ottobre.

Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia