“Un altro giorno andato, la sua musica è finita”, canta Francesco Guccini. Già, un altro giorno è andato, quanti ce ne saranno ancora come questo? Non chiedertelo, è meglio. Vivi alla giornata, senza farti troppe illusioni, aspettando quello che sarà. Difficile, onestamente, pensare che finisca tutto in fretta. Non serve neppure sentire gli scienziati, che la sanno di sicuro lunghissima, ma che non ti direbbero mai, oggi “…ci vorranno mesi”.
Ci vorranno mesi, sì. Ma forse dopo non sarà più niente come prima e non è questione di essere catastrofici. Macchè. Perché non siamo solo materia, per fortuna. Siamo anima. Siamo cuore. Siamo pensieri. Gli stessi che adesso ti mettono addosso quel filo perfido di diffidenza, quando incroci un altro. E dopo? Cambierai ancora lato della strada quando incroci qualcuno? Probabilmente sì. Perché chi t’ha detto che il virus un giorno scomparirà? E quando succederà?
E ci sarà un giorno in cui tutta l’Italia sarà guarita dal virus? O non ci sarà sempre, in qualche angolo sperduto, un piccolo stramaledetto focolaio pronto a riesplodere? No, è dura, né serve a qualcosa provare a consolarsi con la spagnola e l’asiatica, la suina e il morbillo, Chernobyl e la sars. Erano un’altra cosa, mica come questa, che non sai da dove viene, come resta, se se ne andrà. E ormai (quasi) non accendi neanche la Tv, apri a malapena il giornale, “giochi” in difesa e fai fatica a confessare anche a te stesso, quello che provi.
Non l’avevamo mai vissuta, una cosa come questa. Dove all’improvviso scompaiono tutte le certezze e affiorano tutte le paure. E ricordi le parole della mamma, quando da bambino (e forse anche da grande) ti guardava e ti faceva il segno della croce. “Disi le orassione, le te fa sempre ben”.