Trenta giorni che spaventano. Dal 20 ottobre al 20 novembre il Veneto ha… cambiato colore La nuova emergenza: la nostra regione s’interroga

Il Veneto ha paura, c’è poco da dire. È la regione che più sta soffrendo la seconda ondata. Tanto da far pensare che “qualcosa di strano” sia avvenuto lo scorso ottobre.
Qualcosa che in altre regioni, anche vicine al Veneto, non è invece accaduto. Nel mirino ci sono quei trenta giorni in cui la curva de contagi è cresciuta a dismisura. Le due date cerchiate di rosso sono il 20 ottobre e il 20 novembre. Ora i ricercatori stanno cercando di capire cos’è successo in quelle quattro settimane. E, grazie anche ai campioni analizzati dai genetisti, è stato possibile sequenziare almeno otto mutazioni del virus che potrebbero essere alla base dell’ondata autunnale che ha travolto il Veneto.
La situazione in Veneto
Con i nuovi colori la regione con a capo Luca Zaia passerà all’arancione, e dati i numeri era anche prevedibile: 2.549 i pazienti Covid nelle strutture ospedaliere, di cui 357 nei reparti di terapia intensiva, senza tralasciare che negli ultimi 15 giorni si è arrivati a 927 positivi ogni 100mila abitanti, quando la media a livello nazionale è di 313 casi. E ancora, il valore Rt che in Veneto è vicino all’1 e l’aumento di morti che sono giunti a 7.263, mentre a luglio erano 2.075. Qualcosa non torna. Dagli esperti del governo arriva l’avvertimento: “Alla luce di tutto ciò le attuali misure non hanno avuto l’impatto desiderato nel ridurre a sufficienza il contagio. Si raccomanda l’adozione in modo tempestivo di misure di mitigazione successive e più restrittive”. E il Veneto è finito così colorato di arancione. Luciano Flor, direttore generale della Sanità veneta, ha espresso il suo parere in tal proposito: “Come la penso? Che noi stiamo pagando la nostra virtuosità…”.
Dati alla mano, Flor non vuole certo autocommiserarsi e non accetta le critiche di coloro che hanno parlato di strutture ospedaliere al collasso o di scelte politiche non corrette, come la dirigenza dem in Veneto. “Il nostro sistema regge. Nelle terapie intensive abbiamo 76 posti liberi su una capienza di 700 letti, che possiamo ampliare fino a mille nell’arco di 24 ore. L’incidenza è così alta solo perché noi il virus lo andiamo a cercare, a differenza degli altri”. In effetti, il Veneto è una delle regioni dove si sono sempre fatti sempre molti tamponi.
Cosa preoccupa davvero
A preoccupare non è tanto il numero dei ricoveri in terapia intensiva, quanto quello relativo agli altri reparti ospedalieri, che sono il 30% in più del picco raggiunto la scorsa primavera. In poche parole i soggetti che si trovano in ospedale hanno sintomi gravi da Covid ma non così tanto da richiederne il trasferimento in terapia intensiva. Ed è proprio questo, come ammesso da Flor, il dato che preoccupa. Negli ultimi giorni però sta calando lievemente. Come rilevato dal direttore generale della Sanità veneta, il periodo da tenere d’occhio è quello compreso tra il 20 ottobre e il 20 novembre. In quei trenta giorni, in cui la curva dei contagi si è impennata, qualcosa è successo. È stato analizzato un gran numero di campioni e gli esperti sono arrivati a trovare ben 8 mutazioni del Covid. I ceppi della primavera e dell’estate non ci sarebbero più. Al loro posto altre otto. Cinque delle quali ritrovate anche nel resto d’Italia, due autoctone e una relativa alla variante inglese. Capire perchè in quei 30 giorni la situazione è precipitata è cominciare a trovare un rimedio anche per il futuro.