Tre regioni (Lombardia, Veneto, Piemonte), una provincia (Trento) e un comune fattore denominatore: il lago di Garda. Da affrontare con una società di gestione partecipata dalle due regioni e dalla provincia che affacciano (Lombardia, Veneto e provincia autonoma di Trento), almeno nello schema del ministro Mariastella Gelmini, nella sua veste di presidente della Comunità del Garda, la realtà che cura gli interessi del lago. La questione è sul tavolo da circa 25 anni, con un decreto governativo che di fatto certifica il passaggio della gestione degli specchi d’acqua dallo stato agli enti regionali, attualmente però soltanto sulla carta. Adesso però bisogna accelerare soprattutto sull’area del Garda, e migliorare l’accessibilità del maggiore lago italiano le cui sponde (lombarda, veneta e trentina) da sempre convogliano un gran numero di turisti.
Di questo si è parlato a Milano durante la seduta speciale della commissione Trasporti a Palazzo Pirelli, monitorata dalla Dire, che ha ospitato il ministro per gli Affari regionali. Per Gelmini “si deve arrivare ad una nuova mobilità di residenti e ospiti che integri quella su ferro, gomma e acqua e privilegi quest’ultima”, in modo tale da avviare un iter di questo tipo.
D’altronde, la questione dirimente è relativa all’attuazione del decreto che prevede come “la gestione governativa dei laghi Maggiore, Como e Garda sia trasferita alle regioni territorialmente competenti e alla provincia autonomia di Trento entro il 1 gennaio 2000, previo il risanamento tecnico economico”. Da vent’anni dunque questo accordo tra Stato e Regioni, nonostante i tanti tavoli aperti in questi anni e le tante occasioni di confronto “di fatto è rimasto inattuato, e questo è il punto da quale partire”. Ecco perché il ministro consiglia di riprendere i lavori da quel decreto legislativo e “provare a rendere fattiva la collaborazione tra le regioni coinvolte con un sistema che dal punto di vista legislativo è già definito”.
La vicepresidente regionale Elisa de Berti ha offerto la visione sul progetto Garda da sponda veneta. “Non possiamo pensare- afferma- di regionalizzare una sponda alla lombarda o una sponda alla veneta o una sponda alla trentina senza dialogo tra di loro”, quindi è ovvio che la gestione condivisa sia la strada più sensata da percorrere, anche per risolvere alcuni problemi dell’area, in primo luogo il traffico. Per De Berti l’esempio da seguire è quello dei cosiddetti treni ‘indivisi’, su cui il Veneto, con il Trentino, il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia Romagna tramite un accordo hanno risolto un disagio logistico.
“Noi avevamo gli interregionali che da Bologna andavano al Brennero e da Venezia andavano a Trieste a gestione statale e che lo stato doveva regionalizzare”, spiega. “Se ne parlava da una vita con vari tentativi falliti, ma siamo riusciti con un tavolo tecnico ad analizzare le criticità e pensare alle soluzioni”. Infatti per la vicepresidente veneta “è ovvio che quando c’è volontà politica si deve cercare sintesi: quindi la tratta Bologna-Brennero l’abbiamo presa noi come accordo con tutte le regioni, i convogli per il fronte est (Venezia-Trieste) li ha presi il Friuli, e oggi siamo riusciti ad arrivare a una norma’’.