Toffaloni «pronto a tutto» fece sapere che era un duro. Le riunioni nella caserma dei carabinieri di Parona e alla Ftase
La condanna del veronese Marco Toffaloni a 30 anni perché riconosciuto esecutore materiale per la strage di piazza della Loggia a Brescia riapre il libro nero dell’eversione terroristica, dei servizi deviati, dell’infedeltà degli alleati, che aveva negli anni 70 e 80 come epicentro proprio Verona come acclarato da indagini e sentenze. Con una sentenza storica il Tribunale dei Minori di Brescia ha condannato a 30 anni Marco Toffaloni, studente del liceo Fracastoro, all’epoca appena sedicenne (questo spiega la competenza del tribunale per i minorenni), veronese militante tra le fila più violente e operative del movimento di estrema destra Ordine Nuovo.Per i giudici — che hanno accolto la ricostruzione e le richieste della pm Caty Bressanelli, titolare del fascicolo insieme all’ex aggiunto Silvio Bonfigli — è sua la mano che la mattina del 28 maggio 1974 piazzò nel cestino sotto il porticato l’ordigno che esplose alle 10.12 e durante una manifestazione antifascista uccise otto persone e ne ferì 102. Toffaloni non farà nemmeno un giorno di carcere. Perché? Perché da anni “Tomaten”, così soprannominato ai tempi del liceo perché arrossiva spesso, vive in Svizzera con il nome di Franco Maria Muller. Così come un altro accusato della strage di Brescia, il veronese Roberto Zorzi, che era residente a Sant’Ambrogio, ora vive negli Stati Uniti e gestisce un allevamento di cani dal nome eloquente: Littorio. Guarda caso tutti e due erano di Ordine Nuovo, tutti e due frequentavano Palazzo Carli, sede della Ftase e avevano ufficiali di riferimento a cui riferire, guarda caso tutti e due sono riusciti a ricostruirsi una cittadinanza all’estero: uno svizzero, l’altro negli Usa. Ma torniamo per ora a Toffaloni, uno già abituato secondo l’accusa a compiere attentati, “pronto a tutto” per accreditarsi agli occhi dei vertici. E anche sbruffone, ci teneva a far sapere che era un duro. L’ex collaboratore di giustizia Gianpaolo Stimamiglio, ritenuto attendibile, ha riferito che Toffaloni, alla fine degli anni Ottanta, gli avrebbe rivelato di aver avuto un ruolo nella strage bresciana: «So sta mi». Così come l’avrebbe saputo e confidato a un vicino di casa suo padre. Nella poderosa inchiesta poi la superteste Ombretta Giacomazzi, figlia dei titolari della pizzeria in cui, più volte, avrebbe visto Marco Toffaloni e Roberto Zorzi (nato a Merano ma cresciuto a Verona, a sua volta imputato di concorso in strage davanti alla Corte d’assise) agli incontri con i camerati bresciani. “Volevano vendicare Silvio”, Ferrari, neofascista saltato in aria mentre trasportava esplosivo la notte tra il 18 e il 19 maggio 1974. Ed è sempre lei che colloca Tomaten alle riunioni eversive anche nella caserma dei carabinieri di Parona e a Palazzo Carli, Verona, allora sede del comando Ftase. Due luoghi simbolo, per chi indaga, delle coperture da parte di alcune forze dell’ordine nei confronti degli eversivi di destra, Toffaloni compreso, così come della vicinanza dei neofascisti ai militari americani. Provati, per l’accusa,gli altri suoi precedenti: rapine, ronde pirogene, Ludwig. Un ruolo di epicentro quello di Verona sul quale come ha dichiarato più volte il giudice Guido Salvini che sulla strage di Brescia non si arrese mai, prima di passare a Milano come giudice istruttore, “si è indagato troppo poco”. Cioè? “Su Verona si è indagato poco”, ha ribadito Salvini.
Gli incontri segreti di Ordine Nuovo. Sui neofascisti veronesi la ricostruzione del giudice Tamburino
Ma Toffaloni, che appare anche in una foto sul luogo della strage pochi minuti dopo l’esplosione dell’ordigno collocato in un cestino dei rifiuti, può dormire tranquillo nonostante la condanna a 30 anni, il massimo della pena per un processo minorile. Ha cambiato nome, è cittadino svizzero (cosa che riesce difficile a molti ma non a lui) e nei mesi scorsi le autorità elvetiche hanno già fatto sapere che, anche in caso di condanna definitiva, non lo consegneranno all’Italia, perché ritengono il reato di strage prescritto. “Dove ha atteso la sentenza? Non lo so. Aspettiamo di leggere le motivazione poi vedremo come muoverci”, si è limitato a commentare il suo avvocato Marco Gallina. Sui neofascisti veronesi e veneti e i loro rapporti con Palazzo Carli ricostruisce molte verità storiche il giudice Giovanni Tamburino nel suo libro “Dietro tutte le trame”. Tamburino indagò per anni sull’eversione neofascista e l’organizzazione Rosa dei Venti. Se Toffaloni è riuscito a diventare cittadino svizzero, l’altro imputato Roberto Zorzi è da tempo un cittadino americano che vive oltre Atlantico e che ha un allevamento di cani a Snohomish, Stato di Washington, il “Del Littorio International Dobermann”. Il 28 maggio 1974, però, era uno studente con un diploma da geometra che abitava a Sant’Ambrogio Valpolicella. Fin da quando esplose la bomba in piazza della Loggia, a Brescia, l’interesse dell’autorità giudiziaria per Roberto Zorzi, nato il 2 settembre 1953 a Merano, fu molto alto per gli ambienti che frequentava e una domanda oggi riguarda la sua attuale cittadinanza, che da tempo è diventata statunitense. Ufficialmente, sarebbe l’esito di un colpo di fortuna, avendola “vinta” alla lotteria. Ma questa versione, in procura a Brescia, non convince, soprattutto alla luce della conclamata frequentazione da parte di esponenti ordinovisti delle basi Ftase di Verona. E sugli incontri segreti tra ordine Nuovo e i servizi e alcuni ufficiali del comando Ftase, sul ruolo di Verona nelle trame nere e la strategia della tensione degli anni 70 “si è indagato poco”, afferma il giudice Salvini. Anche perché più volte sono spuntati punti di contatto tra la strage di piazza Fontana a Milano e quella, 5 anni dopo, di piazza della Loggia a Brescia: “Gli incontri tra ordinovisti di Brescia-Verona con ambienti di Palazzo Carli e quindi con gli ufficiali americani, si integrano perfettamente con quanto già emerso dalle indagini sulla strage di piazza Fontana in relazione al racconto di Carlo Digilio”, aveva dichiarato il giudice Salvini “circa il rapporto fiduciario instaurato con i servizi segreti americani che informava in modo stabile delle attività di Ordine Nuovo e che costoro tolleravano”. Rapporti sui quali si sarebbe dovuto indagare meglio e di più anche perché per esempio è emerso un legame tra lo stesso Toffaloni-Tomaten e il gruppo Ludwig di Marco Furlan e Wolfgang Abel che ammazzavano la gente con il fuoco purificatore. E proprio Toffaloni era stato accusato per le ronde pirogene nella zona di Bologna. E tutti e tre frequentavano il liceo Fracastoro negli stessi anni. “Verona, nonostante le indagini di 40 anni fa la abbiano toccata relativamente poco rispetto ad altri luoghi come Padova e Mestre, era certamente un luogo di grande radicamento degli ordinovisti e dove avevano stabilito più intensi contatti con gli ambienti militari e cioè con ufficiali come Amos Spiazzi e dove operava, mista con militari e ordinovisti, la più importante legione dei nuclei di difesa dello Stato”, aveva dichiarato Salvini un paio di anni fa in merito agli sviluppi dell’inchiesta bresciana su piazza della Loggia. “Non mi stupisco che ora da queste nuove indagini si valorizzi il ruolo, sinora sfuggito alle indagini, degli ordinovisti veronesi. Del resto, se pensiamo al passato, Verona era la vera capitale della Repubblica sociale italiana e anche dopo le stragi come quella di piazza Fontana e di Brescia, ha continuato a produrre gruppi eversivi venati da esoterismo come ci ricorda la vicenda Ludwig che non può essere certo ridotta alla follia di due giovani. E che Toffaloni (ora condannato per aver portato l’ordigno in piazza della Loggia-ndr) frequentasse il liceo Fracastoro come Abel e Furlan, sembra un cerchio che si chiude”.
La copertura di generali italiani e Usa. Personaggi legati all’eversione neofascista entravano e uscivano dal comando Ftase
Toffaloni, fama nera fin da giovanissimo, mito del superuomo e dell’esoterismo, finì coinvolto e indagato per le Ronde Pirogene antidemocratiche, banda che colpiva tra Bologna e Verona. Toffaloni nel 1974 a 16 anni (classe 58) frequentava la terza liceo scientifico al Fracastoro. In quello stesso liceo erano già arrivati Wolfgang Abel e Marco Furlan (classe 59), condannati per «Ludwig» (anche qui ritroviamo il mito del superuomo e l’esoterismo), la serie di attentati che provocarono decine di vittime tra frequentatori di discoteche, cinema porno, gay e persone considerate «non pure» e da purificare con il fuoco. O con le taniche di benzina alla disco Melamara di Castiglione delle Stiviere. E proprio in questo ultimo filone dell’inchiesta bresciana che ha portato alla condanna di Toffaloni emergono non solo il ruolo di Verona ma anche i luoghi dove si sarebbero tenuti gli incontri tra pezzi dello Stato e ordinovisti usati come manovalanza. I tre luoghi veronesi nei quali ci sarebbe stato, secondo l’ultima inchiesta bresciana su piazza della Loggia una commistione tra pezzi dello Stato, Forze armate, Nato, ed elementi dell’eversione nera, sono una caserma dei carabinieri di Parona, il palazzo dell’Inps di via Montanari dove all’ultimo piano sarebbe stata installata una centrale dei servizi segreti e Palazzo Carli, all’epoca sede del comando Ftase, dove elementi neofascisti avrebbero avuto facile accesso e contatti con alti ufficiali. Il cosiddetto terzo livello. Qui, dicono le carte dell’inchiesta giudiziaria e le relazioni dei Ros, il reparto operativo dei carabinieri, con la copertura di generali italiani e statunitensi si sarebbero svolte le riunioni preparatorie di un progetto stragista che avrebbe dovuto rinsaldare il patto atlantico di fronte all’eventuale ondata dei comunisti. “Destabilizzare per stabilizzare” era l’ordine imperativo spiega il giudice Giovanni Tamburino nel suo documentatissimo libro “Dietro tutte le trame” nel quale scrive che proprio questo era il compito al quale si dovevano attenersi “i personaggi legati all’eversione neofascista che entravano e uscivano dal Comado Ftase”, vale a dire Palazzo Carli in via Roma. Personaggi che spesso erano gli esecutori materiali di quella che veniva chiamata “guerra parallela”, cioè le stragi. Carlo Digilio, veneziano, coinvolto nella strage di piazza Fontana, ordinovista, aveva come punto di riferimento David Carrett, ufficiale americano della base Ftase di Verona, scrive Tamburino. Marcello Soffiati, altro ordinovista veronese coinvolto nelle stragi, era in contatto con la Cia e il suo punto di riferimento era un ufficiale americano nella Ftase (Oliver Kenneth), che poi nel 2002 smentì. Ma a Colognola ai Colli nella sua trattoria si ricordano ancora le cene con tante auto targate Afi, American force in Italy. E poi dagli atti emergono tanti altri nomi di ufficiali americani in forza alla Ftase e che addestravano gli ordinovisti: Frederick Tepaski, Teddy Richards, il capitano Theodore Richard, e poi gli italiani come il generale Nardella, il generale Delfino… Nomi che dopo 50, 60 anni, risuonano ancora nelle aule dei tribunali come fantasmi. “Ho sempre avuto paura del generale Delfino” ha dichiarato la superteste del processo di Brescia Ombretta Giacomazzi. “Non ho comunque parlato della strage fino a pochi anni fa perché comunque Delfino era ancora vivo”. Fantasmi che tornano. Ma, ripete il giudice Salvini, su Verona si è indagato poco, troppo poco. MB