Il termine “tattoo” in italiano tatuaggio, deriva dal polinesiano “tautau”, onomatopea che rammentava il rumore prodotto dal picchiettare del legno sull’ago per perforare la pelle. Il tatuaggio ha una storia antica che attraversa svariate culture ed epoche. Le origini del tatuaggio risalgono a tempi preistorici, con evidenze archeologiche che mostrano disegni su mummie di oltre 5.000 anni. Nel corso del XX Secolo, i tattoo hanno sperimentato varie fasi di popolarità e stigmatizzazione nella cultura occidentale. Dagli anni ’70 in poi, la pratica è diventata man mano più diffusa, e accettata, con sempre più persone che scelgono di farsi tatuare. Il tatuaggio oggi rappresenta un fenomeno di massa, una scelta certamente personale anche se spesso dettata da una moda sociale. Alcune delle ragioni più comuni che stimolano le persone a tatuarsi includono: l’affermazione della propria individualità, personalità e stile, ma anche il collegamento a un rituale magico (con la scelta di immagini portafortuna o di frasi mantra), o l’appartenenza a un gruppo/comunità (tramite un simbolo di identità condivisa, in alcune culture, tatuarsi è parte integrante di riti o cerimonie di passaggio), o la passione per una particolare estetica del corpo… Vi sono poi motivazioni più intime, come utilizzare il tattoo in risposta a eventi traumatici, dove il disegno sulla pelle rappresenta una rinascita, o una presa di controllo sulla propria storia di vita, o il ricordo e la commemorazione di eventi significativi, o di persone amate che purtroppo non ci sono più. Dal punto di vista psicologico, anche la scelta della parte del corpo da tatuare risulta particolarmente interessante. A seconda della zona, visibile o nascosta, in cui viene praticato il tatuaggio lo stesso può divenire un manifesto pubblico delle esperienze, delle emozioni e della personalità di chi lo sceglie o al contrario un qualcosa di privato e celato. In psicoterapia, analizzare i tatuaggi dei pazienti può fornire un ingresso a parte per esplorare ricordi, traumi e significati nascosti. I tatuaggi infatti, si possono definire come un mezzo di comunicazione non verbale utilizzato dal soggetto portatore per veicolare informazioni su di Sé in modo indiretto. I tattoo possono divenire delle finestre attraverso le quali lo psicoterapeuta può cogliere le narrazioni dei pazienti. È fondamentale infine, distinguere tra l’espressione artistica del tatuaggio e l’atteggiamento patologico, che può invece emergere quando il loro numero o dimensione, e le relative trasformazioni del corpo, diviene smisurato. Quando cioè i tatuaggi vengono percepiti dal soggetto come l’unico modo per affrontare incertezze o alterati concetti di Sé. In questi casi, una valutazione psicologica potrebbe essere essenziale per comprendere le radici di questa sproporzionata ricerca di modificazione corporea e per offrire un sostegno psicologico.
Sara Rosa, psicologa e psicotarapeuta