Ha suscitato scalpore e reazioni contrastanti – anche se, in genere, piuttosto indirizzate verso la critica – la lettera inviata dal vescovo di Verona Giuseppe Zenti lo scorso sabato, nel contesto di preparazione al ballottaggio per l’elezione del sindaco della
città. Una lettera che vale la pena analizzare – oltre la questione dell’adesione o meno a
uno dei due schieramenti – dal punto di vista logico e culturale, per assumere consapevolmente gli strumenti adatti a leggerla per quello che è e per ciò che essa vuole
significare.
Si parta da un punto, che può sembrare piano ma che cela un intento preciso: il vescovo ha indirizzato la lettera ai preti ordinati, ai «confratelli», aprendola con un invito al ricordo dell’ex vescovo Flavio Roberto Carrano, deceduto il 17 giugno: un invito giusto e
comprensibile, di natura spirituale, di rispetto verso una figura importante nella vita religiosa veronese degli anni passati, al quale non si capisce come consegua la riflessione – se di riflessione si può parlare, e che però ne risulta condizionata – successiva, per la
quale Zenti «profitta dell’occasione per chiarire un nostro coinvolgimento in occasione di elezioni politiche e amministrative».
Il monito del vescovo è
di tenere a mente che compito del clero non è schierarsi per partiti o persone, ma di «segnalare eventuali presenze o carenze di valori civili con radice cristiana». Il passaggio è interessante, il nesso logico particolarmente studiato, l’equilibrio precario.
In un’epoca in cui l’ideologia viene demonizzata e si finge che non esista (più) in politica, in nome di una presunta convergenza al centro dove, si continua a sostenere, si vincono le battaglie, ma
che si sta dimostrando via via sempre più debole (ne è testimonianza l’esito del voto francese), il vescovo finge di ignorare che i partiti e le persone sono, in politica,
precisamente i soggetti che si propongono di incarnare e perseguire determinati valori.
I valori civili sono e non possono che essere questione politica, soprattutto in ragione del
fatto che esistono compagini politiche con prospettive differenti che, talvolta, dichiarano
apertamente di volerli negare o limitare.
Nessuna strumentalizzazione è possibile, per questa lettera: essa si strumentalizza da sé, ossia, afferma esattamente ciò che vuole
affermare, e il senso non è fraintendibile.
In una celebre scena del Divo, film biografico su
Giulio Andreotti, un prete ricorda al segretario DC che La Pira usava dire: «quando De Gasperi andava in Chiesa parlava con Dio, Andreotti parla con il prete»; il che ha perfettamente senso (politico), perché, come Andreotti giustamente ribatte, «i preti votano,
Dio no». Ma i preti, naturalmente, non si limitano a votare: essi hanno tra i loro doveri il proselitismo e la moralizzazione della società, un compito che tocca inevitabilmente
questioni politiche come i diritti, che in un libero Stato laico (ammesso e certo non concesso che l’Italia lo sia) dovrebbero essere oggetto di dibattito democratico e altrettanto laico.
Locke rifiutava due categorie di persone, nel definire la propria concezione di Stato: gli atei, che non credono a nulla e quindi non pronunciano giuramenti affidabili, e i cattolici, che sottostanno a un sovrano straniero, il quale, controllando le coscienze, controlla il comportamento e condiziona il rispetto e lo stabilimento delle leggi
civili.
Zenti adopera una frase quantomeno inquietante, in questo senso: le «frontiere» che ha individuato come baluardi da difendere contro un nemico mai citato, e non citabile perché indefinibile come le teorie che gli vengono applicate, «fanno da filtro per la coscienza nei confronti della scelta politica o amministrativa».
Come questo non significhi sostenere una determinata parte non è chiaro; ciò che è chiaro è che questo esempio –
nel cui merito politico-decisionale non si vuole entrare – dimostra una volta di più la questione irrisolta italiana, la presenza di strumenti di controllo e moralizzazione che pretendendo di esulare dallo Stato e dai suoi valori civili, non manca un’occasione per
condizionare gli esiti di processi che, indipendentemente dall’esito, dovrebbero essere
autodeterminati.
Effeemme