Ci sarà una seconda ondata in autunno-inverno? E’ una delle 10 domande rivolte a 18 esperti: rispondono virologi, epidemiologi, infettivologi, rianimatori e altri clinici, ma anche l’Organizzazione mondiale della sanità e il premio Nobel per la medicina Bruce Beutler.
“Uno scienziato del calibro di Tony Fauci, il direttore del Niaid americano, ha detto che potrebbe esserci. Ma certo nessuno di noi ha la palla di vetro – afferma Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che con Fauci ha collaborato nei primi anni ’90 – Le ipotesi che facciamo derivano dalle esperienze di precedenti pandemie influenzali, come la Spagnola del 1918, ma era un virus diverso. Dunque non mi sento di fare previsioni. Nella malaugurata ipotesi che arrivi – aggiunge – penso però che non sarà grave come la prima ondata, non tanto perché il virus sia diventato più buono, ma perché lo conosciamo meglio e sappiamo più cose su come gestirlo. Vorrei dire però che il rischio di una seconda ondata dipende da noi, e da quanto sapremo rispettare le misure chiave per contrastare il virus”.
E’ invece “possibile una recrudescenza” di Sars-CoV-2 per il virologo dell’università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco, che non esclude l’eventualità di una seconda ondata “in autunno, quando le condizioni meteo favoriranno la diffusione di questo virus che potrà nascondersi tra i casi delle varie forme respiratorie virali”. Tuttavia, precisa l’esperto, “la previsione di una seconda ondata si basa sui comportamenti di virus pandemici del passato, che non è detto ci sia se manterremo una buona capacità di tracing dei focolai” come quelli che già si sono evidenziati per esempio all’Irccs San Raffaele Pisana di Roma e all’ospedale Niguarda di Milano.
Possibilista anche il virologo Guido Silvestri, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta: “Non lo sappiamo per certo – risponde – ma direi di si’, verso dicembre-gennaio prossimo”.
Per Giorgio Palù, past president della Società europea di virologia e professore emerito di Microbiologia dell’università di Padova, “nessuno lo sa con certezza e non mi aggiungo ai tanti divinatori che parlano in questi giorni. Possiamo solo dire che questa è la prima pandemia di coronavirus che l’umanità conosce, probabilmente i virus del raffreddore sono forme zoonotiche che si sono già stabilite nell’uomo, e per analogia con le pandemie influenzali del passato, la cui trasmissione cominciava di solito aprile, aveva uno stop in estate e tornava in autunno (la spagnola addirittura tornò ad agosto-settembre), possiamo affermare che c’è sempre un qualche ritorno dei virus pandemici a trasmissione respiratoria. Questo virus ha infettato oltre 7 milioni di persone riconosciute (ma ce ne saranno 5-6 volte di più) e potrebbe aver trovato il suo ospite naturale e rimane endogeno. Probabile, quindi, ma non ne siamo certi”.
Usa parole ancora più forti per dire che non è possibile fare previsioni Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di anestesia e rianimazione generale e cardio-toraco-vascolare dell’ospedale San Raffaele di Milano: “Con coloro che oggi rispondono ‘sì’ o ‘no’ non voglio avere nulla a che fare”, taglia corto. “Se arriverà? Avendo combattuto la prima ondata spero di no”. Ma, assicura, “se arrivasse siamo pronti”.
Crisanti. “E’ impossibile prevedere”
Altrettanto drastico nel non sbilanciarsi è Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova e direttore dell’Unità operativa complessa di microbiologia e virologia dell’azienda ospedaliera patavina: “Non lo può dire nessuno come e quando ci sarà la seconda ondata” di contagi da nuovo coronavirus.
“Sicuramente al momento ci troviamo di fronte a una situazione in cui ci sono ancora molte persone infette, c’è ancora trasmissione. Recentemente a Padova abbiamo avuto un caso importato dalla Moldavia, una persona che si è sentita male ed è andata in ospedale. Esiste quindi ancora la possibilità di infettarsi e sicuramente di importare casi gravi da fuori Italia”.
A me, aggiunge, “piacerebbe vederli sparire questi casi. E ho sempre detto: ogni nuovo caso è un caso di troppo. Bisogna mettersi in testa questo principio e finché non succede non credo che affronteremo la cosa nel modo giusto”
Non ci sarà una seconda ondata per il premio Nobel per la Medicina 2011 Bruce Beutler, immunologo e genetista americano. “Nella maggior parte dei Paesi europei e degli Stati Uniti, sembra che il tasso di nuovi casi e il tasso di mortalità – risponde – stiano gradualmente diminuendo, anche se le persone hanno iniziato a uscire di nuovo, a tornare al lavoro e a interagire di più. Insieme ai lockdown, i cambiamenti nel comportamento (distanziamento sociale, uso di mascherine) sembrano avere avuto effetti protettivi. La popolazione non è così vulnerabile come all’inizio, quando nessuna di queste misure era stata intrapresa. Questo è vero, anche se attualmente solo una piccola percentuale della popolazione è stata infettata. Ma tutto ciò mi porta a pensare che non ci sarà una seconda ondata” di contagi da coronavirus.
“Non possiamo escludere” una seconda ondata per l’immunologa Antonella Viola. La direttrice scientifica dell’Irp (Istituto di ricerca pediatrica)-Città della speranza di Padova prospetta in realtà “diversi scenari possibili: il virus potrebbe lentamente scomparire o mutare, diventando un virus non preoccupante; potrebbe ripresentarsi in autunno – a causa delle condizioni ambientali meno favorevoli e della ripresa delle attività scolastiche – portando alla comparsa di nuovi focolai che però riusciamo immediatamente a identificare e isolare; o infine c’è lo scenario più preoccupante che immagina una seconda ondata, cioè di nuovo un’ampia diffusione dell’infezione nella popolazione. Credo tuttavia che l’ultimo sia lo scenario meno probabile – sottolinea l’esperta – se continueremo a mantenere alta l’attenzione, sia a livello personale sia a livello istituzionale”.
Una seconda ondata epidemica è “probabile – ammette Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa e coordinatore scientifico della task force pugliese per l’emergenza coronavirus – a meno che non si riesca a controllare la circolazione del virus durante l’estate e si faccia una forte azione di prevenzione in autunno”.
Francesco Le Foche, responsabile del day hospital di immuno-infettivologia del Policlinico Umberto I di Roma, pensa sia “quasi impossibile fare una previsione di questo genere. C’è sicuramente un timore sentito, ma nessuna certezza”.
Dello stesso parere Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. “Non dispongo di palla di vetro”, dice scherzando . “L’ipotesi di una seconda ondata – continua Ippolito – nasce da esperienze di altre pandemie. Ma questo è un virus nuovo e non sappiamo come si comporterà. Abbiamo alcune esperienze di altri Paesi nei quali, all’allentamento delle misure di distanziamento, si sono verificate seconde ondate, come Corea e Singapore o all”Iran. E’ necessario capire esattamente cosa è successo in quelle aree. Ma è presto per poter dare risposte certe”.
“Noi più preparati e lui meno forte”
“Non essendo un indovino, ma un epidemiologo – risponde Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – questa ipotesi di seconda ondata semmai la legherei alla ancora non completa conoscenza di questo virus per noi ‘nuovo’. Se la circolazione del virus si ridurrà ancora di più, come sta accadendo, l’ipotesi plausibile è di un adattamento al nuovo ospite, che siamo noi, sempre maggiore e quindi se diventerà un nostro compagno di viaggio, potremmo anche rivederlo nei mesi più freddi, magari a dicembre. Comunque saremo molto più pronti di prima a fronteggiare un suo ritorno dal punto di vista sanitario”.
“Soltanto coloro che hanno poteri paranormali, denominati pertanto paravirologi, possono rispondere sì o no – sottolinea Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e virologia all’ospedale San Raffaele di Milano – Personalmente non mi sento di dare una risposta conclusiva. Ritengo tuttavia che possa essere più probabile una circolazione per piccoli focolai epidemici o casi isolati. Sa sarà così, dovremmo avere una buona organizzazione territoriale per arginarli immediatamente”.
“Il virus è evidentemente penetrato pesantemente nel nostro Paese, per cui – dice Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova e componente della task force Covid della Regione Liguria – non credo che se ne andrà così facilmente. In futuro ci saranno, quindi, anche altri casi, ma pensare a una seconda ondata con la stessa aggressività di marzo francamente mi pare un po’ difficile. Sicuramente perché siamo più bravi e poi il sistema è più pronto. Ci sono i reparti, i laboratori, la medicina di base, le Rsa sono responsabilizzate, credo che se ci sarà ad ottobre avremo insieme ai mali di stagione anche Covid-19 che ci auguriamo non sarà più un evento pandemico o epidemico ma focalizzato”.
“In Italia è difficile che ci sarà una nuova ondata come a marzo o addirittura uno tsunami come in Lombardia – chiarisce Marco Tinelli, infettivologo e tesoriere della Simit, la Società italiana di malattie infettive e tropicali – Non si possono escludere focolai, ma saranno sicuramente controllabili e circoscrivibili in quanto le attuali misure diagnostiche, di tracciamento dei contagiati e dei contatti sono consolidate e disponibili ovunque in Italia. L’assistenza sanitaria verso i pazienti Covid si è molto affinata sia a livello ospedaliero che territoriale. Inoltre, potremo avere prossimamente anche farmaci efficaci in grado di controllare l’evoluzione della malattia fin dall’inizio dei sintomi”.
Novelli: Pochi dati. Burioni: Temo di sì
“Non sappiamo se ci sarà una seconda ondata – sostiene dal canto suo Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Tor Vergata – Abbiamo ancora pochi dati per fare previsioni. L’epidemia potrebbe continuare in autunno e in inverno, quando l’influenza stagionale potrebbe essere prevalente”.
Invitava a prepararsi a una seconda ondata già a fine marzo il virologo Roberto Burioni. “C’è una speranza, che questo virus si trasmetta meno con climi più miti – ha affermato il docente dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano – Non sappiamo se sia così, se fosse così il contagio si attenuerebbe nei prossimi mesi. Ma, c’è un ma, dobbiamo stare pronti: potrebbe tornare in autunno”.