Tiberio Mitri, “il più bel pugile d’Italia del dopoguerra”, tesse con “La botta in testa” la sua autobiografia del “quasi”: quasi campione del mondo dei pesi medi (perse lo scontro contro il leggendario Toro Scatenato Jake LaMotta) quasi divo dei rotocalchi italiani, quasi attore cinematografico e quasi scrittore. Sì, perché di tutte le cose che Mitri fu sul punto di realizzare, pare esserci anche quest’autobiografia, che in molti non ritengono scritta solo (o in assoluto) da lui. Ciò che a Mitri riuscivano bene, invece, era farsi degli amici, frequentare le cosiddette persone giuste. E tra queste ci fu anche lo scrittore Gian Carlo Fusco, la cui mano si riconosce in molte (se non tutte) le pagine del libro. Un libro apprezzabile su due fronti: per la vivida descrizione dell’Italia del dopoguerra, che dalla povertà passa al boom economico, e per la costante forza che l’autore/protagonista manifesta di fronte a ogni gancio rifilatogli dalla vita. “Suonati”, ma mai al tappeto…