Dopo quattro anni di assenza dalle scene il regista de Il Gladiatore, Blade Runner e Alien torna in pompa magna con un mastodontico film in costume, di ambientazione medievale e tratto da una storia vera.
Adattamento del romanzo L’ultimo duello di Eric Jager, The Last Duel racconta una vicenda di tradimenti, violenza e onore: Jean de Carrouges e Jacques Le Gris sono amici da una vita, hanno combattuto battaglie e si sono reciprocamente salvati la vita. Quando Jacques stringe amicizia col perfido luogotenente Charles VI, i rapporti tra i due iniziano a cambiare.
È l’inizio di una rivalità che sfocerà in un vero e proprio duello all’ultimo sangue quando Marguerite, moglie di Jean, accuserà Le Gris di averla violentata.
LA STORIA. Ridley Scott ci catapulta direttamente in una Francia del XIV secolo fatta di battaglie, sangue, terra e rigide norme che regolamentano le relazioni tra gli uomini sulla base loro rango, della reputazione e del posto che si sono guadagnati nel mondo. In questa società costruita su monolitiche gerarchie i fatti prendono vita sullo schermo a partire dai tre differenti punti di vista dei tre protagonisti. Il primo a narrare la storia della tremenda violenza è proprio Jean, scudiero al verde, uomo rozzo ma leale, perfettamente a suo agio in battaglia, molto meno quando si tratta di aver a che fare con ospiti e amici. Alla sua versione si contrappone quella di Le Gris: sveglio e colto e feroce arrampicatore sociale amante delle belle donne. Infine la storia di Marguerite, donna raffinata e intraprendente, moglie di Jean e vittima della violenza.
QUALE VERITA’? A variare, dunque, tra le loro tre personali verità non sono tanto i fatti, quanto la percezione che ciascuno di loro ha di quei fatti: una violenza (e forse più di una) c’è stata. L’intera ricostruzione storica mira allora a far emergere come quel fatto brutale sia anticipato, circondato e forse incoraggiato da un intero contesto che è proiezione del maschile, delle sue necessità e delle sue regole.
Una mascolinità che nelle sue diverse forme è pur sempre tossica, ma anche pur sempre derivante da un background medievale che Scott vorrebbe denunciare come persistente sottofondo del nostro retroterra culturale: così la sceneggiatura si sforza di adattare dialoghi, sensibilità e percezioni contemporanee ad atmosfere antiche, dandoci l’impressione di voler trasportare la causa del #MeToo in un 1400 che considerava la donna poco più che un orpello al servizio della casata di appartenenza.
IL VERDETTO. Nonostante l’innegabile l’anacronismo dell’intera operazione il film di Scott si regge comunque su un ritmo narrativo capace di intrattenere per ben 152 minuti, complice anche l’enorme sforzo nella ricostruzione storica e l’appassionante racconto della vicenda giudiziaria, con tanto di attenta documentazione sulla giurisprudenza medievale.
A contribuire al successo della resa scenica le sempre ottime interpretazioni di Matt Damon, Jodie Comer e dell’ormai onnipresente Adam Driver, qui nei panni, rispettivamente di Jean De Carrouges, Marguerite De Thibouville e Jacques Le Gris.
VOTO 6,5