Avete presente le telenovelas sudamericane sulle saghe familiari iper drammatiche, irrealistiche e immancabilmente realizzate all’insegna del grottesco? Ecco, immaginatevi quell’inconsistenza di trama, quell’identica superficialità dei personaggi e la stessa patinatura da rivista di gossip e avrete un’accurata definizione di The House of Gucci, la chiacchieratissima ultima opera di Ridley Scott sulla casata Gucci e sull’omicidio, avvenuto nel 1995, dell’allora CEO del brand Maurizio Gucci per volere della ex-moglie Patrizia Reggiani.
Diciamoci la verità, i numerosi trailer in lingua originale usciti da un anno a questa parte avrebbero dovuto insospettirci: un inglese maccheronico a imitare l’accento italiano, trucco e parrucco esageratamente kitsch e un affastellarsi di battute degne del Trio con Marchesini, Solenghi e Lopez al meglio della loro forma ci avevano già dato segnali ben chiari sulla fiera del trash cui avremmo assistito. Ma si trattava del pluripremiato regista americano Ridley Scott, della enorme casa di produzione MGM, e soprattutto di un cast di attori da far paura: Jeremy Irons, Jared Leto, Al Pacino, Salma Hayek, Camille Cottin e nientepopodimeno che Lady Gaga, nei panni della Reggiani, e Adam Driver in quelli di Maurizio Gucci. Sono queste stelle mica da poco e numeri con cui solitamente non si scherza, eppure questa volta l’Olimpo degli Dei del Cinema nulla ha potuto contro la goffaggine della regia, l’incuria della scrittura e l’insopportabile parata di cliché che caratterizzano The House of Gucci.
Se pensavate infatti che lo stereotipo sugli italiani pizza, pasta e mandolino appartenessero a un’altra epoca vi sbagliavate; da americano doc impegnato a raccontare una storia italianissima, Ridley Scott ne da dimostrazione non soltanto infarcendo ogni singola sequenza con arie di famose opere liriche, ma anche mostrando tutti i componenti maschili della famiglia Gucci – e non solo – come abbronzati criminali, donnaioli e pronti a raggirare a ogni passo.
Ciò che dispiace di più è lo spreco nel quale si consuma quella che in realtà sarebbe stata una storia intrigante, ispirata alla reale vicenda della disgregazione della famiglia Gucci e dotata di una complessità, psicologica e fattuale, che molto di buono avrebbe potuto produrre sullo schermo. Il film invece non acquista mai il carattere deciso che dovrebbe avere e si limita a una cronistoria imprecisa, incapace di elevarsi a parabola simbolica e anzi continuamente smembrata i sotto-trame inutili dominate da scenette e personaggi parodistici. Non un dramma familiare su uno dei brand d’alta moda più importanti al mondo dunque, ma una storia che si risolve in toni ed esiti involontariamente comici e macchiettistici, quegli stessi toni a causa dei quali la vera famiglia Gucci ha deciso di passare alle vie legali con la casa di produzione americana. Potete dargli torto?
Voto: 4.5
Maria Letizia Cilea