The Bear, la cucina è solo un pretesto Disponibile su RayPlus da ottobre, prepara piatti, ma parla di sogni, ansie, ambizioni

Tanti anni di Masterchef, docuserie leziose su chef stellati e – più recentemente – l’inarrestabile ascesa dei foodblogger ci hanno abituati a un’idea della ristorazione dal gusto zuccherino. Ci piace pensare, insomma, alle cucine favoleggianti del film Pixar Ratatouille (2007), nelle quali gli Alfredo Linguini di questo mondo spadellano felici e spensierati aiutati da piccoli ratti sognatori. La serie dramedy The Bear – disponibile su Disney Plus da ottobre – stravolge completamente l’immaginario patinato a cui stati abituati finora, proponendoci una dinamica “à la Ratatouille”, ma decisamente più tetra, frenetica e spaventosamente realistica. L’Alfredo Linguini della situazione è Carmen “Carmy” Berzatto, un enfant prodige della cucina stellata newyorchese. Dopo aver lavorato in alcuni tra i ristoranti migliori di New York, Carmy decide di mollare tutto e tornare a Chicago, sua città natale, per prendere in gestione il diner del fratello Michael, recentemente morto suicida. Insieme alla malmessa paninoteca il giovane chef riceve in eredità una ciurma scoppiettante di dipendenti che si dimostrano da subito contrari a qualsiasi iniziativa di cambiamento. Determinato a lasciarsi alle spalle un ingombrante passato e a riportare in auge il nome dell’ormai decadente “The original beef of Chicagoland”, Carmy si trova a dover giostrare una crescente serie di imprevisti. L’incontro con la stagista Sydney e il lento ammorbidirsi dei colleghi cominciano a fargli intravedere un barlume di speranza. Nonostante l’ambientazione e le continue immagini di panini fritti e unti possano trarre in inganno, The Bear non vuole essere una serie che parla di cucina. La cucina è, anzi, un pretesto originale e interessante per affrontare tematiche ben più profonde: nell’ambiente sudicio e claustrofobico della cucina di quel diner, tra le urla e l’isteria di giornate che si susseguono scandite da ritmi insostenibili, si fanno strada a tentoni sogni, ambizioni, ansie, problemi, paure, traumi. La narrazione elettrica e il montaggio frenetico ipnotizzano lo spettatore coinvolgendo lo spettatore in una spirale di eventi vertiginosi, in cui i tempi comici sono in perfetta sincronia con i bocconi amari, dove l’irriverenza è un coltello affilato e l’ansia generale è talmente forte da riuscire a bucare lo schermo. Scritto divinamente e interpretato con altrettanta dedizione (stratosferico Jeremy Allen White: è impossibile staccare gli occhi da Carmy), The Bear è uno di quegli esperimenti riuscitissimi che in pochi episodi riescono a stravolgere mondi interi e mettere lo spettatore di fronte a crude realtà: anche dietro a quel panino che compri per 5$ in un locale scalcinato si nascondono gli aspetti burrascosi della vita. Per adattare Magritte: “ceci n’est pas un sandwich”.

Voto: 8

Martina Bazzanella