I risultati del primo studio sulla terapia con il plasma per contrastare il coronavirus hanno gettato le basi per un secondo step. Una ricerca controllata e multicentrica che avrà come centro coordinatore l’ospedale di Pisa e come co-sperimentatore il San Matteo di Pavia. I clinici stanno definendo i parametri dei pazienti da arruolare, possibile che saranno divisi in base alle patologie pregresse.
Con il plasma la mortalità si è ridotta
I risultati della sperimentazione pilota, condotta su 46 pazienti del Carlo Poma di Mantova e del San Matteo di Pavia (solo uno extra regionale, di Novara), sono stati mandati al New England Journal of Medicine e sono in corso di valutazione per la pubblicazione. Come è stato osservato nello studio, grazie alla terapia con il plasma iperimmune la mortalità dei pazienti in terapia intensiva è diminuita da un atteso del 15% al 6%.
«Nel campione avevamo solo casi con insufficienza respiratoria grave, perché quando si testa una cura sperimentale frequentemente si coinvolgono pazienti con poche chance terapeutiche», spiega Salvatore Casari, direttore di malattie infettive al Carlo Poma di Mantova. Ma ciò non significa che la cura con il sangue dei guariti sia efficace solo per casi severi. Anzi: «Le risposte nei pazienti un po’ meno gravi sono state migliori di quelle nei pazienti più gravi».
Terapia con il plasma: da sola non basta.
«Una via importante da percorrere», come l’ha definita il direttore di malattie infettive del Sacco di Milano Massimo Galli, che va ad inserirsi all’interno di una strategia terapeutica più ampia. Perché i 46 pazienti dello studio pilota «non sono stati trattati solo con il plasma iperimmune, ma anche con il plasma iperimmune, abbinato ad altri farmaci di possibile attività contro il coronavirus» precisa l’infettivologo del Carlo Poma.
Sicuramente l’utilizzo del sangue dei pazienti convalescenti ha un vantaggio che manca ai medicinali: si può “fare in casa”. Significa che «se un ospedale ha un centro trasfusionale interno e ha dei pazienti guariti da Covid-19, potrebbe ricavarne il plasma e avere una prima cura immediata. Ovviamente seguendo la normativa vigente, che prevede rigide procedure di sicurezza, soprattutto per evitare la trasmissione di infezioni» spiega Casari.
Anche gli asintomatici possono sviluppare anticorpi
La potenzialità terapeutica del sangue dei pazienti guariti risiede negli anticorpi neutralizzanti: immunoglobuline G che agiscono contro il virus e l’infiammazione che esso può provocare nell’organismo. È probabile che tutte le persone che contraggono il virus le sviluppino, anche chi si ammala in forma lieve o asintomatica, perché la loro comparsa non dipende dalla risposta infiammatoria, ma dall’infezione.