“L’aumento dei tassi di interesse presenta problematiche riconducibili a due categorie. La prima ha a che fare con la natura dell’inflazione di oggi. La seconda, più prettamente teorica, riconosce che la politica monetaria ha molto meno potere sull’inflazione di quanto tradizionalmente si creda, e comunque non agisce attraverso i canali enfatizzati”, afferma il Presidente di Casartigiani Verona Luca Luppi.
“Partendo dal primo punto – prosegue Luppi -, l’inflazione che osserviamo oggi è sostanzialmente il prodotto di fattori che agiscono sul lato dell’offerta. In primo luogo, il passaggio repentino dai lockdown alle riaperture ha creato vari “colli di bottiglia”. Tale dinamica è stata poi esacerbata dall’aumento del costo dell’energia. Inoltre, questo contesto espone a speculazioni, sia da parte dei fornitori di materie prime, sia di quelle categorie di imprese manifatturiere che operano in mercati protetti e approfittano della fiammata inflazionistica per allargare la propria quota di profitto. Infine, il conflitto russo-ucraino coinvolge uno dei massimi fornitori energetici globali e aggrava l’andamento della situazione”.
Alla luce di questi elementi il Presidente si chiede: “su quali presupposti logici le autorità monetarie pensano di combattere problemi legati al lato dell’offerta con strumenti che avrebbero effetti sulla domanda?. Alcuni rispondono che, qualora le banche centrali non intervenissero con politiche restrittive, le aspettative di inflazione si innalzerebbero in modo strutturale e infiammerebbero le dinamiche oggi osservate”.
“A costoro – prosegue Luppi -, andrebbe forse chiesto su quali basi continuino a confidare in una teoria che già in origine mostrava assunti inverosimili (in particolare quello delle cosiddette “aspettative razionali”, secondo cui gli individui sarebbero in grado di prevedere meccanicamente il futuro in un ambiente che però è incerto) e che oggi risulta ancor più sconfessata”.
Nei tre decenni precedenti al 2020, infatti, le banche centrali avevano tentato di portare l’inflazione al tasso desiderato del 2% cercando di controllare le aspettative, ma non ci sono riuscite, nonostante l’impiego di strumenti di politica monetaria non convenzionali (tassi di interesse negativi e quantitative easing).
“I difensori della visione monetaria convenzionale portano a difesa della loro posizione l’esperienza a loro dire virtuosa degli anni Ottanta. In realtà, però, l’elemento cruciale che riportò l’inflazione a livelli considerati accettabili fu il mirato annichilimento di una delle parti coinvolta nel conflitto distributivo: quella dei piccoli imprenditori e dei lavoratori”, chiarisce Luppi.
“A questa azione condotta dall’alto, la politica monetaria ha senz’altro contribuito, ma con costi sociali ingenti: alti tassi di disoccupazione, stagnazione della quota salari e aumento della disuguaglianza. Di fatto, il costo del contenimento dell’inflazione è stato pagato, come avviene in questi casi, dalle fasce più fragili”, conclude il Presidente.
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