Racconta che di notte leggeva Garcia Marquez, “Cent’anni di solidutine”. Non dormiva, Marco Tardelli. Passava di camera in camera, fino a quando finiva in quella di Bearzot. “Parlavamo un po’, poi lui mi faceva ascoltare un po’ di jazz e quando s’addormentava, uscivo tornavo nella mia. A leggere. A pensare alla partita”. A quanti non l’avrebbero voluto al Mondiale. A quanti li stavano “massacrando” di critiche. “Così decidemmo di non parlare e di affidare le nostre comunicazioni a Dino Zoff, che rispondeva a monosillabi”.
Ricorda tutto, di quei giorni, compagni per una vita, compagni che non ci sono più. “Scirea, Paolo… Rossi era di una simpatia unica. A volte sembrava starsene su una nuvoletta tutta sua, me era di una semplicità e di una umiltà uniche”.
La notte della vittoria? “Altri andarono a festeggiare. Io rimasi a parlare con Scirea, Cabrini, poi arrivò anche Zoff. Eravamo felici, certo, ma c’era anche un filo di malinconia. Perchè sapevamo che quello era stato il momento più bello della nostra vita. Ed era già passato…”