Tanti giovani prendono il largo Con un’economia così stagnante, rimanere non è più un’opzione

I giovani non vogliono più stare in Italia. Con questa affermazione si punta sempre più spesso il dito contro quelle nuove generazioni di laureati, specialmente i più altamente qualificati, che prendono il largo verso l’estero.
Ma proviamo a chiederci cosa ci sia sotto questo fenomeno allarmante e in preoccupante crescita. Che cosa spinge i giovani con un elevato livello di istruzione a scegliere di lasciare familiari, amici e tutto ciò che chiamano “casa” per cercare migliori, o magari solo adeguate, possibilità lavorative? Perché forse una scelta non è. Forse in un Paese dall’economia così stagnante, dall’elevato tasso di disoccupazione e dalle scarse prospettive di crescita, rimanere non è un’opzione. In troppi casi i cervelli, che dovrebbero costituire le vere eccellenze del nostro Paese, si trovano di fronte al dramma di non poter restare al fianco dei propri affetti e allo stesso tempo vedere realizzati propri sogni, magari con adeguati riconoscimenti, dopo anni di sacrifici. Andarsene, allora, è l’unica strada percorribile. Ed è così che questa fuga diventa un vero e proprio esodo, privando le nostre Università e i nostri centri di ricerca dei migliori elementi, lasciati a chi sa riconoscerne il valore. Le dimensioni del fenomeno sono preoccupanti: tra il 2011 e il 2023, circa 550.000 giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’Italia, di cui 100.000 solo nel 2022/23. Ma le scarse opportunità e le retribuzioni basse non sono le uniche cause. Purtroppo, sono ancora troppo diffusi gli ambienti in cui raccomandazioni e nepotismo la fanno da padroni, lasciando indietro chi ha talento, ma non conoscenze.
E ancora, la carenza di innovazioni e di investimenti in ricerca e sviluppo rende la maggior parte dei contesti lavorativi obsoleti e poco dinamici, certamente non stimolanti per chi ha nuove idee. A mettere il carico arrivano poi i costi eccessivi della vita, a volte nemmeno sufficienti a garantire anche solo di sopravvivere. Ma quali sono le conseguenze di tutto ciò per l’Italia? Perché non significa solo declino demografico, e quindi invecchiamento della popolazione e calo della natalità, ma anche e soprattutto perdita di capitale umano: lo Stato investe nella formazione dei giovani, ma non ne raccoglie i frutti, lasciando che il loro talento vada a rendere fiorenti altre economie. L’inevitabile effetto è quindi la riduzione della competitività delle imprese locali: squilibri economici, insomma, che innescano un pericoloso circolo vizioso. E allora come porvi fine? Sarebbero da auspicare riforme del lavoro mirate a incentivare assunzioni, stabilità contrattuale e salari dignitosi, insieme naturalmente a più cospicui capitali da destinare a investimenti in ricerca e sviluppo, e a maggiore supporto all’imprenditoria giovanile, anche semplificando la macchinosa burocrazia che appesantisce ogni movimento nel nostro sistema. Ma prima di tutto, ciò che davvero sarebbe da auspicare sopra ogni cosa, l’unico modo per rendere possibile tutto questo, è un cambiamento culturale radicale, che ponga al centro la valorizzazione del talento.

Tiziana Recchia
*Fondatrice, titolare e amministratrice di Cassiopea. Da oltre 30 anni business e life coach, si occupa di formazione e supporta le aziende nei momenti di cambiamento. Collabora con la redazione de “La Cronaca” per portare il suo punto di vista esperto nel mondo del business.

Scopri il servizio di consulenza più adatto alle tue esigenze su www.cassiopeaweb.com, o contattami direttamente, scrivendo a tiziana@cassiopeaweb.com o chiamando il 347 1513537.