Un flop disastroso che getta nella polvere la reputazione dei più grandi club europei e mette in crisi la credibilità del sistema calcio. Un azzardo, quello della Superlega, che rischia di divorare i suoi ideatori. Quello che più impressiona, in questa vicenda, è la serie di errori messi insieme dai due ideatori: Florentino Perez e Andrea Agnelli. Parliamo di due dei massimi dirigenti del calcio mondiali che hanno dato una prova di rara inadeguatezza. Ecco tutti gli errori del progetto.
1) No comunicazione. Nel celebre manuale di Edward Luttwak “Tecnica di un colpo di stato”, pubblicato negli anni ’70 (quando andavano di moda i golpe della Cia) al primo punto si spiega l’importanza strategica dell’informazione. Quando un gruppo vuol prendere il potere la prima cosa è il controllo dei mezzi di comunicazione. In questo caso “l’assalto” al potere di UEFA e FIFA è stato fatto senza il supporto dei media che invece si sono scatenati contro la Superlega trascinando opinione pubblica, politica e tifosi.
2) Assenza tedesca. Quando sono stati comunicati i club secessionisti è balzata subito all’occhio l’assenza delle squadre tedesche. Un vulnus gravissimo. Difficile immaginare di organizzare qualcosa nell’Europa di oggi (totalmente a trazione germanica) senza i tedeschi.
3) Defezione PSG. Altro vuoto pesante quello dei francesi. Non tanto per il peso del calcio transalpino ma per l’assenza del club parigino di proprietà qatarina. Era improbabile pensare che gli Emiri in debito verso la Fifa per il contestato Mondiale del 2022 e in procinto di giocarsi la vittoria in Champions targata Uefa avrebbero aderito alla Superlega.
4) Debolezza del progetto. Troppi i dubbi sulla struttura della Superlega. Confusione totale sul fronte dei diritti tv. Chi il broadcaster della Superlega? Chi il finanziatore? Il gruppo JP Morgan principale referente degli scissionisti non si è esposto rimanendo ai margini. Altro piccolo dettaglio. Chi avrebbe arbitrato le partite della Superlega? Anche qui nebbia fitta.
5) Tifosi in rivolta. “Il calcio non è più un gioco ma un’industria”. Questa l’affermazione perentoria di Agnelli parlando con Repubblica. Un calcolo clamorosamente sbagliato. Trasformare i grandi club in industrie è forse il peccato originale di tutto. Perché il calcio non vende solo magliette ma soprattutto passione cioè un bene impalpabile.
6) Effetto pandemia. In piena pandemia mondiale, con migliaia di morti e una crisi economica incombente, parlare di progetti faraonici, di nuova ricchezza, di miliardi da spartirsi ha generato un rigetto fortissimo.
7) Politica. Clamorosamente sbagliato anche il momento storico. In una fase dove la globalizzazione è vista come un nemico potenziale (che diffonde i virus), vengono rivalutati gli stati le esigenze interne (vedi vicenda vaccini), lanciare un campionato europeo penalizzando quelli nazionali è stata una follia.