Suo padre, Guido Biondani, morto lo scorso anno, ha fondato nel 1993 il Banco Alimentare del Veneto. Aveva conosciuto qualche tempo prima Marco Lucchini, che insieme a tre amici aveva creato a Milano la Fondazione Banco Alimentare, replicando il modello dal «Banco dos Alimentos» di Barcellona. Da quando aveva 23 anni, Adele Biondani ha collaborato con il padre a sviluppare il Banco Alimentare del Veneto, collegato alla Fondazione milanese, che oggi conta due sedi, una a Verona e l’altra a Padova, 7 dipendenti, 250 volontari e la partnership con 451 associazioni. Sarebbe contento, Guido, di vedere la Colletta Alimentare raggiungere il traguardo dei trent’anni con 93.486 tonnellate complessive di cibo distribuito alle strutture caritative, trasportate dall’equivalente di 5.194 autoarticolati, per 187 milioni di pasti offerti ai bisognosi.
Dottoressa Biondani, com’è nato il contatto di suo padre Guido con la Fondazione Banco Alimentare di Milano?
“Era a pranzo a casa nostra la mia amica Emanuela Lucchini, oggi presidente di Ici Caldaie, allora studentessa all’Università di Milano. Mio padre raccontò di aver visto buttare in discarica interi bancali di succo di frutta, solo perché c’era un’etichetta rovescia. Emanuela gli disse che a Milano aveva sentito parlare di una Fondazione, che recuperava il cibo scartato per distribuirlo ai bisognosi. Fu lei il contatto con Marco Lucchini, anche se non sono imparentati”.
Così nacque il Banco Alimentare del Veneto.
“All’inizio era del nord est, comprendeva sia il Friuli che il Trentino Alto Adige. Poi, per fortuna, ogni regione ha preso la sua strada: gestire tutto era davvero molto impegnativo”.
Oltre a suo padre Guido e a lei, chi erano i soci fondatori?
“Emanuela Lucchini e suo padre Gigi, Ottorino Magnabosco, Mk cucine, che ancora oggi è in Consiglio di amministrazione e altri amici di mio padre, ora scomparsi”.
L’inizio dell’attività?
“Molto difficile, soprattutto perché bisognava farsi garanti con gli imprenditori che donavano il loro prodotto: che venisse gestito secondo le regole per le merci alimentari, e che andasse effettivamente a chi aveva bisogno. Non era facile. La svolta avvenne quando il responsabile del magazzino di Nonna Amelia di Milano parlò con quello del magazzino Giovanni Rana, e gli spiegò che lui gestiva il problema delle eccedenze lavorando con il Banco Alimentare. Da allora gli imprenditori capirono che potevano condividere la nostra iniziativa”.
Il ricordo più bello che ha di suo padre?
“Ne ho tanti. Ma il più bello è il suo sguardo commosso quando entrava in magazzino la sera della Colletta Alimentare. Quello è un momento magico, che si rinnova ogni anno. Mio papà ha sempre creduto nelle potenzialità del Banco Alimentare, ma non immaginava che potesse arrivare a traguardi così importanti. Quando Marco Lucchini, all’inizio, gli diceva che si possono fare grandi cose, lui lo prendeva in giro, dicendogli che era il solito bauscia milanese. Quando poi, anno dopo anno, vide i risultati della Colletta, sia in termini di generosità delle persone che di coinvolgimento di tanti giovani, era davvero commosso”.
Quali sono le eccedenze che vi arrivano dalla grande distribuzione?
“Noi ritiriamo i prodotti a breve scadenza o quelli che, per un qualsiasi motivo, non possono essere venduti”.
Ad esempio?
“Un anno abbiamo ritirato una grande quantità di prodotti alimentari destinati al mercato greco, quindi con le etichette scritte in lingua greca. Ma era il periodo della grande crisi economica della Grecia e il fornitore aveva rinunciato a ritirare il prodotto. L’azienda italiana si era ritrovata con interi bancali invendibili. Li abbiamo presi noi: abbiamo fatto tradurre in italiano le etichette e abbiamo distribuito i prodotti alle associazioni, con la traduzione allegata”.
Geniale. Un altro esempio?
“Un paio di anni fa capitò che un’azienda, che aveva prodotto passate di pomodoro per un grande marchio, sbagliò la ricetta. Quindi la passata di pomodoro era buona, ma il gusto non corrispondeva al marchio che aveva commissionato il prodotto. Altro esempio recente: una fornitura di colombe, per le quali era stato usato un olio di qualità superiore a quello descritto in etichetta. Il prodotto era ottimo, ma non poteva essere venduto, perché non corrispondente a quanto dichiarato. Così abbiamo ritirato due Tir di colombe!”.
Questi sono i casi eccezionali. Nella normalità come vi procurate i prodotti da distribuire?
“Glielo spiego con un altro esempio. Fra un po’ è Natale. A febbraio tutti i prodotti legati alla ricorrenza non gireranno più sui bancali: quelli invenduti li ritiriamo noi. Comunque il 60 per cento ci arriva dai prodotti Fead (Fondo di aiuti europei agli indigenti): sono fondamentali perché sono prodotti a scadenza lunga, anche due, tre anni. Il 12 per cento arriva dalla giornata della Colletta Alimentare, il resto da aziende alimentari, supermercati, mense, catering, donatori privati”.
Cibo che poi distribuite a 451 associazioni…
“Che assistono ogni anno circa 85 mila persone in Veneto, di cui quasi 28 mila a Verona”.
É vero che la povertà sta crescendo, anche in una realtà privilegiata come la nostra?
“É vero. Ed è vero anche che, oggi, chi lavora non sempre riesce a essere autosufficiente. Purtroppo, avere un tasso di disoccupazione pari a zero, non significa che la gente non ha bisogno di essere aiutata. Certo, essere in una regione ricca come la nostra, permette una certa fluidità nella condizione di povertà: molte delle persone che in questo momento sono in difficoltà, magari hanno solo la necessità di essere accompagnate in un percorso verso l’autosufficienza. Ma una volta c’era solo la povertà assoluta, quella da cui non potevi uscire. Oggi puoi essere povero anche se hai un lavoro: a questo non eravamo abituati”.
Su quanti volontari può contare l’organizzazione?
“Stabili sono 250, con circa 60 mila ore di lavoro l’anno. Diventano più di 14 mila nella giornata della Colletta Alimentare. Comunque stiamo cercando altri volontari, perché il lavoro di ufficio, legato alla gestione e distribuzione dei prodotti raccolti, richiede sempre più tempo”.
Quest’anno avete festeggiato i 30 anni di attività. Il suo bilancio personale?
“Per me il Banco è stata una grandissima scuola di vita, che mi ha fatto crescere come poche altre cose. E posso dire che questo percorso ha fatto crescere anche la mia famiglia. I miei tre figli hanno sempre visto una mamma che non era a loro disposizione, ma che si impegnava anche per gli altri. Per loro è stato un grande insegnamento”.
Lei è sposata con Luigi Belluzzo, a capo di un importante studio di commercialisti e avvocati, che si occupa di consulenza internazionale: suo marito l’aiuta nel suo impegno?
“É fondamentale. Sia perché mi permette di dedicarmi a tempo pieno all’organizzazione, sia perché, come studio, ha sempre sostenuto anche economicamente la nostra attività. Lui ovviamente non può dedicare il tempo che dedico io, ma la nostra è una causa condivisa. Inoltre è il mio canale di comunicazione più importante con gli imprenditori”.
Al volontariato dedica molta parte della sua vita: in cambio cosa ottiene?
“Tutto. Mi dà molto di più di quello che do io”.
Rossella Lazzarini