Buongiorno Andrea, grazie per il tempo dedicatomi. Inizio col chiedere come stai e come hai passato questi ultimi mesi.
Tutto sommato non li ho passati male. Sicuramente mi sono mancati molto la vicinanza agli affetti e il contatto con i ragazzi delle scuole in cui gestisco i laboratori teatrali insieme a Sabrina Modenini: da ottobre a giugno gli studenti sono il propellente energetico delle nostre giornate, una fatica immane e una grande soddisfazione. Ad ogni modo, durante il periodo di lockdown ho deciso di non fermarmi mai.
Hai saputo reinventare il tuo lavoro?
Siamo riusciti ad arrivare al termine dei laboratori con modalità non tradizionali, ho scritto nuovi testi e abbiamo concluso i progetti attraverso elaborati video, streaming in diretta o su Zoom. Per quanto riguarda la parte performativa personale, con Casa Shakespeare abbiamo portato il teatro in streaming, perché ora più che mai questo mestiere è costituito dalla possibilità di riuscire ad essere performativo in modi differenti. Vivo il mio lavoro come una missione a cui rispondere continuamente, perciò cerco di educarmi a forme alternative: ad esempio, ero un inetto dal punto di vista tecnologico ma sono riuscito ad ingegnarmi. Nella sua tragicità, il coronavirus è riuscito a rimettere in gioco una serie di opportunità.
Quindi hai scoperto un nuovo modo di fare teatro.
All’inizio del lockdown ho perso una ventina di spettacoli, ma questo non mi ha fermato. Il teatro certamente è anche luogo fisico, ma non si identifica esclusivamente con l’edificio, perché è un luogo dell’anima di incontro e comunicazione e, se l’ascolto è inibito da una condizione avversa, è necessario trovare delle alternative. Noi siamo stati molto seguiti durante il periodo di quarantena e a metà maggio abbiamo portato in scena la prima nazionale di Giacomo III (scritto da Barone) per i sostenitori che ci hanno appoggiato attraverso il crowdfunding: a questi abbiamo dedicato i tre atti dell’opera utilizzando Zoom, lasciando che entrassero direttamente sul palco a vivere lo streaming drama. Alla fine, il pubblico ci ha ringraziato per essere riusciti a riportare il teatro in casa, un’esperienza importante che stiamo cercando di ripetere.
L’ultimo video che hai postato su Instagram parla di alcune reazioni allo streaming drama, a cui rispondi dicendo: “ma che ve frega, io lo faccio e me ce godo!”. Ci sono state polemiche circa questo nuovo modo di fare performance?
Sì, parecchie! Mentre noi continuavamo a metterci in gioco sono arrivate voci che ci contestavano, addirittura affermando che non capissimo nulla del nostro mestiere. Ma, come dico sempre durante i laboratori, dal teatro non si può escludere chi racconta, altrimenti la struttura, la scenografia, rimane vuota. Se riesco a trovare qualcuno che mi ascolti, anche a livello digitale, perché non dovrei pensare che si tratti di performance? La sostanza fondamentale è il racconto e l’ascolto di questo, non la vista. Le crisi servono per ritornare all’essenziale delle cose e, in questo caso, l’attore deve investire in se stesso. Questa situazione sta facendo emergere un po’ di democrazia di talenti e, senza retorica, penso che sia molto importante non arrendersi.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Si prospetta un’estate interessante. La settimana dal 16 al 21 giugno sarà dedicata alla Shake Week, che trasmetteremo in streaming sulla pagina Facebook di Casa Shakespeare dal Teatro Satiro. Sabato 20 giugno andremo in scena con una lettura interpretata di Covid Romeo, con la regia di Pontarollo, mentre il 20 luglio e il 3 agosto sarò al teatro Romano con la Bancarotta di Goldoni (regia e adattamento di Matteo Spiazzi) e Fake Shakespeare, due mie riscritture, ovvero Fake Otello e Fake Amleto (regia di Solimano Pontarollo). Girerò poi alcuni corti cinematografici e dal 3 al 6 settembre sarò all’Arsenale con una mia conduzione di una compagnia amatoriale con cui lavoro da un paio d’anni, porteremo alcuni testi da farse da tribunale.
Giulia Maria Cavaliere