Strage di Viareggio, dov’è la giustizia? Una tragedia con 33 vittime e nessun colpevole: “Questa è una sconfitta per tutti”

«Sono il macchinista del treno a Viareggio, abbiamo deragliato noi… siamo scappati ma è scoppiato tutto, portavamo gas liquefatto infiammabile. […] C’è la stazione completamente in fiamme, avverti chi puoi, avverti la protezione civile… è scoppiato tutto».
29 giugno 2009, ore 23.48. La chiamata è quella del macchinista di un treno carico di GPL che poco dopo la stazione di Viareggio era deragliato, facendo fuoriuscire il gas e causando l’esplosione di tre palazzi adiacenti alla stazione, in via Ponchielli. Il bollettino definitivo delle vittime riportava il numero 33: 11 morti sul colpo, 20 deceduti in ospedale, 2 morti d’infarto per il boato provocato dall’esplosione.
Dodici anni dopo c’è un muro a separare i binari da via Ponchielli, un muro che all’epoca avrebbe salvato molte vite e che invece non c’era, come non c’è giustizia per le 33 vittime che ancora oggi, per voce dei loro familiari, chiedono che i responsabili vengano puniti. A nove anni dal primo processo, la sentenza di Cassazione emanata l’8 gennaio 2021 ha infatti dichiarato prescritti i 32 omicidi colposi, come già aveva fatto con i reati di lesioni colpose e con l’incendio colposo.
«[…] con la parola prescrizione si cancella tutto il lavoro di queste persone e la ricerca della verità e della giustizia. Abbiamo perso. Tutto il Paese ha perso», aveva detto in seguito alla decisione della Cassazione Marco Piagentini, che dalla strage era uscito vivo per miracolo, con ustioni sul 90% del corpo e con le ceneri della moglie e dei due figli tra le mani. A sopravvivere e ricordare è però l’intera comunità di Viareggio, che conserva ancora la memoria dell’odore acre, del cielo arancione e dell’angoscia della tragedia:
«I carri erano 14, ne è scoppiato uno. Se fossero scoppiati tutti oggi non ci sarebbe più Viareggio. Io stessa sarei morta insieme a mio fratello e a tutta la mia famiglia», dice Sofia, viareggina che nel 2009 aveva solo 11 anni. «Ricordo di aver sentito uno colpo fortissimo, come una folata di vento improvvisa», dice invece Isabella. «Abbiamo visto il cielo arancione, non capivamo. Il giorno dopo abbiamo capito. È stata dura anche avere dei contatti con amici e conoscenti che avevano perso qualcuno. Ancora oggi il 29 giugno è un giorno di cordoglio per tutti noi».
A loro e a tutti coloro che conoscono il valore del ricordo e vivono nel desiderio di giustizia si rivolgono le celebrazioni organizzate, come ogni anno, dall’Associazione Il Mondo che Vorrei, che ha eletto ad argomento della commemorazione l’”Educazione alla responsabilità”: un tema ingombrante e complesso, forse più significativo di altri, di certo un messaggio forte e chiaro che si spera sarà recepito da quelle istituzioni che dovrebbero sentire, ancora bruciante, il dovere morale di fornire delle risposte.
Maria Letizia Cilea