Silenzio. Un silenzio colmo di rispetto e di intime riflessioni è la prima cosa che si coglie. Al centro della folla si intravede una panchina su cui è appoggiato un mazzo di Calicantus. La bandiera della pace è stesa a ricoprire lo schienale. Tante candele accese nel buio della serata. Sono candele che vorrebbero simbolicamente scaldare quel cuore freddo che aveva tanto bisogno di calore, di calore umano, che la notte del 28 ha cessato di battere.
Una gelida notte, dall’aria pungente, ha avvolto il corpo di Kofi Boateng, senza che nessuno si accorgesse che lui se ne stava andando. Silenziosamente, nella fredda e inspiegabile solitudine di chi vive ai margini di una stazione ferroviaria, ai margini della società, ai margini dell’“irregolarità”. Nato in Ghana 39 anni fa, capelli rasta, i suoi unici averi erano le coperte diventate la sua casa. La storia di Kofi è una storia che ha iniziato ad intrecciarsi con la marginalità nel momento in cui perde il lavoro e conseguentemente il permesso di soggiorno. E così, senza casa, e mezzi di sussistenza si ritrova a condurre una vita da “invisibile”. Cerca di non arrendersi, e lo fa provando ad anestetizzare la malinconia, la tristezza e il freddo con il vino.
Era difficile comunicare con lui, capire la sua lingua, ma Kofi aveva imparato a dire “Grazie” al piatto di minestra caldo portato alla sera dai volontari della Ronda. Quasi 400 persone, di ogni età, hanno voluto rendere omaggio a Kofi, sabato 4 gennaio alle ore 18,00, riunendosi nel giardino della stazione di Porta Vescovo, strette attorno alla “sua” panchina, le cui coperte il giorno dopo la sua scomparsa sono state bruciate. Da quale mano? Per dimostrare cosa?
Sono diverse le persone che hanno voluto dedicare una preghiera, un pensiero, una riflessione al “nostro fratello Kofi”…. C’è chi chiede a gran voce di “creare umanità e fraternità”, chi ritiene necessario un “Gesto di disobbedienza civile collettiva” tramite la simbolica rimozione del divisorio anti-bivacco, presente anche sulle panchine di quel piccolo parco. C’è poi chi auspica che, magari grazie all’ausilio di un tavolo di coordinamento che permetta di creare un disegno condiviso ed importante, si possa presto rappresentare quella Verona operosa e solidale, restituendole “un’immagine di città accogliente, con un segno che inverta la tendenza che, anni fa, è stata avviata”. Vi è, infine, chi ricorda che, prima di qualsiasi categoria derivante dalla nazionalità o dai motivi che spingono ad emigrare, “esistono le persone umane. E nella tutela di queste, le leggi devono ispirarsi a fondamentali criteri di umanità”. Come? Soluzioni immediate e pratiche sono state suggerite nel corso dei vari interventi che si sono avvicendati e che hanno promosso anche una raccolta firme: “Evitando di allontanare dai luoghi pubblici, come la stazione vicino cui Kofi viveva, i senza dimora, per garantire ospitalità nei giorni e nelle notti più fredde”.
A conclusione di questo momento così raccolto, intimo, commovente, eppure condiviso e partecipato, sorge un’esortazione che vorrebbe curare il dolore e la rabbia che una morte silenziosa in un luogo così frequentato può provocare. Una persona vi dà voce, subito seguito da altri: “Restiamo umani”.
Un povero senzatetto ha lasciato questa vita senza disturbare gli abitanti di una Verona impegnata a preparare i festeggiamenti di Capodanno 2020. Ha lasciato questa città illuminata nelle case e nelle vie.
Sono tutte per te queste candele, Kofi. Non sono luci natalizie, ma candele per scaldare quella panchina ormai vuota, come quel vuoto che tu forse sentivi nel cuore.
Chi volesse salutare un’ultima volta il caro Kofi può venire sabato 11 gennaio alle ore 8, nella Sala dell’ultimo saluto del Cimitero Monumentale di Verona.
Stefania Tessari