La Carta dell’ONU, dopo avere stabilito nel Preambolo che tutti gli stati Membri dell’Organizzazione si impegnano “a impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli”, all’articolo 1 comma 2, poi ripreso nell’articolo 55,
introdusse il principio di autodeterminazione nelle “amichevoli” relazioni internazionali, che si devono fondare “sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli”.
L’affermazione di principio rimase de facto sulla carta, poiché nello Statuto non furono previsti strumenti, organismi istituzionali e specifiche procedure che ne consentissero l’attuazione.
Nei capitoli XI e XII, riguardanti l’amministrazione dei territori non autonomi e l’amministrazione fiduciaria, ossia i territori coloniali e i mandati, non vi è alcun riferimento all’autodeterminazione.
Ciò dipese dal fatto che Francia e Gran Bretagna, le due maggiori potenze coloniali, vi si opposero e miravano a mantenere un’ampia discrezionalità nello stabilire quando i popoli sotto il loro controllo avrebbero raggiunto le indispensabili condizioni di civilizzazione e di organizzazione politica per potersi costituire in Stati. Le resistenze franco-britanniche, tuttavia, non riuscirono a bloccare i variegati processi di liberazione, alcuni dei quali erano già in atto nelle colonie asiatiche (India e Indonesia in particolare), anche perché le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, assunsero un atteggiamento anticoloniale.
Gli USA, sostenendo il principio di
autodeterminazione dei popoli per i territori sottoposti al regime coloniale, perseguivano i propri
interessi di espansione economica e nel contempo portavano avanti la strategia politico-militare del contenimento, che era finalizzata a contrastare l’avanzata del comunismo nel mondo. L’URSS considerava i movimenti anticoloniali, di cui erano parte i movimenti comunisti locali, come un protagonista decisivo nella lotta contro l’imperialismo dei sistemi capitalistici. L’intreccio della decolonizzazione con la guerra fredda divenne inevitabile con importanti conseguenze sul piano internazionale, una delle quali delle quali del tutto imprevista. Mentre una parte dei paesi già coloniali s’integrò, dopo l’indipendenza nell’area economico-politica dell’Occidente, e un’altra entrò nel sistema di stati socialisti collegati più o meno all’Unione Sovietica, il nucleo più consistente del mondo ex-coloniale assunse una posizione di equidistanza e di “non allineamento” tra i due blocchi, introducendo una variante significativa nel bipolarismo.
Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia