Negli Stati Uniti dei primi anni sessanta, durante l’Amministrazione del presidente John Fitzgerald Kennedy, germinò fra i giovani studenti universitari, dopo l’apatia degli anni ‘50, uno spontaneo ed eterogeneo movimento di idee, di fermenti solidaristici, di creazione di gruppi e di sviluppo di analisi, che riguardavano la nuova realtà socio-economica americana in relazione ai diritti delle persone, al lavoro e alla libertà.
Nella Dichiarazione di Port Huron (15 giugno 1962) i giovani studenti universitari osservavano: “Alcuni vorrebbero farci credere che gli americani si sentano contenti in mezzo alla prosperità, ma non potrebbe essere meglio chiamato uno smalto sopra le ansie profondamente sentite riguardo al loro ruolo nel nuovo mondo?”
Simultaneamente si iniziò a riflettere sulle discriminazioni dei neri del Sud e delle grandi concentrazioni industriali del Nord. Furono promosse mobilitazioni e si indissero manifestazioni per i diritti civili ed economici degli afroamericani, che culminarono il 28 Agosto 1963 nella grande marcia su Washington.
L’evento fu accompagnato dai canti di Mahalia Jackson, Bob Dylan e Joan Baez sulle scale del Lincoln Memorial, dove si concluse con il discorso, diventato celeberrimo, I have dream di Martin Luther King.
Il rettore dell’Università di Berkeley, Clark Kerr, di fronte ai movimenti di opinione e alle manifestazioni che coinvolgevano i giovani studenti assunse una posizione ferma e chiara: “le idee devono restare fuori dal campus, l’università è una fabbrica e serve a riempire le teste vuote, per farle lavorare per il sistema.”
Autorizzò quindi la polizia a circolare nel campus per garantire che la futura classe dirigente non entrasse in contatto con idee “strane”.
Il ventiduenne Mario Savio, figlio di emigranti italiani (padre siciliano e madre veneta) dopo avere compiuto brillantemente gli studi superiori a New York, si era iscritto all’Università di Berkeley in California, a seguito del trasferimento della famiglia a Los Angeles. Egli si era sempre impegnato nel sociale, specialmente a sostegno degli afroamericani, ed era diventato un attivista di punta del Berkeley Free Speech Movement.
l 2 Dicembre 1964 alla Sproul Plaza dell’Università di Berkeley, davanti a ottomila studenti del campus, Mario Savio, rivolgendosi al rettore, affermò: “L’università è attualmente chiamata a educare un numero di studenti prima inimmaginabile; a far fronte alle crescenti richieste del servizio nazionale; a fondere le sue attività con l’industria come mai prima d’ora […]. Caratteristica di questa trasformazione è la crescita dell’industria della conoscenza, che sta permeando di sé il governo e il mondo degli affari, e attraendo sempre più persone istruite a livelli sempre più alti di specializzazione. […] L’industria della conoscenza può essere per la seconda metà di questo secolo ciò che le automobili sono state per la prima metà, e le ferrovie per la seconda metà dell’Ottocento; e cioè servire come punto focale per la crescita nazionale. E l’università è al centro del processo della conoscenza. L’università e molti segmenti dell’industria stanno diventando sempre più simili. Man mano che l’università si lega al mondo del lavoro, il professore – almeno nelle scienze naturali e in alcune delle scienze sociali – acquista le caratteristiche dell’imprenditore. […] I due mondi si stanno fondendo, fisicamente e psicologicamente. […] Il campus e la società si stanno fondendo con qualche riluttanza e cautela, ma la fusione è già a uno stadio avanzato. E se il presidente Kerr nei fatti è il rettore, allora vi dico una cosa: i docenti sono un mucchio di dipendenti! E noi siamo la materia prima! Ma siamo un mucchio di materie prime che non intendono essere lavorate in qualsiasi modo, non intendono essere messe in qualche prodotto, non vogliono finire per essere acquistate da alcuni clienti dell’università, siano essi il governo, siano essi imprese, siano essi sindacati, siano essi nessuno! Siamo esseri umani!
Arriva un momento in cui il funzionamento della macchina diventa così odioso – ti fa così rivoltare il cuore – che non puoi più esserne parte. Non puoi più esserne parte neanche passivamente. E devi gettare il tuo corpo nell’ingranaggio, nelle ruote e nelle leve dell’ingranaggio, in tutto l’apparato, e devi bloccarlo, fermarlo. E devi far capire alla gente che lo governa, alla gente che lo possiede che, a meno che tu non sia libero, alla macchina sarà impedito di funzionare del tutto.”
Emergono evidenti in questi passaggi del discorso di Mario Savio le analisi e le ragioni che ispirarono i Movimenti studenteschi del Sessantotto e che li condurranno a una contestazione totale della società del tempo. Il Movimento Free Speech, come egli stesso farà notare più tardi, nato inizialmente per sostenere la causa dei diritti civili (alcuni studenti avevano partecipato alle marce di Martin Luther King in Mississippi), poi si concentrò sui problemi dell’università e, inevitabilmente, per riflesso, su quelli della società.
R.Fer.